Il vecchio Luna Park delle Varesine (un tuffo al cuore per i milanesi)

C’è stato un tempo in cui mamma e zia si frequentavano da buone cognate, soprattutto per merito mio. Seppur diversissime non si detestavano, anche se, a dirla tutta zia Sandra Gisella non la detesta manco adesso.

Pochi mesi prima della separazione le due donne mi portarono al Luna Park delle Varesine, una roba malconcia che si trovava dove ora sorge uno dei quartieri più lussuosi della nuova Milano; è stato lì tra il 1973 e il 1998 e molte volte in seguito ci sono tornata con gli amici, da ragazza, ma il vero ricordo magico fu quel pomeriggio di ottobre, quando, in un giorno intorno al mio compleanno, salii il traballante scalone di metallo che conduceva alle giostre con mamma e zia.

Entrando, subito a sinistra, credo, ma potrebbe anche essere destra, c’era uno scivolo, che nella mia dimensione di bimba mi parve lunghissimo e, tornandoci realizzai quanto fosse in realtà breve quel tobogare verso il basso. La casa a forma di botte, con l’insegna “L’allegra osteria” mi ha sempre incuriosito, ma non ci ho mai messo piede ed è rimasto quindi un luogo del mistero. Sulla Nave pirata che oscillava più in là, ci sarei salita solo dieci anni più tardi, mi terrorizzava solo a guadarla dal basso, ma ricordo che Gisella mi affidò alle mani di zia Sandra e salì a farsi un giro, seduta nei posti più periferici, quelli che garantivano una maggiore inclinazione, un vero terrore! Scese di lì bianca come un grembiule di scuola ma non volle ammettere di avere lo stomaco in fondo ai piedi. La ruota panoramica non era di quelle con le postazioni che vanno a testa in giù: consentiva quindi solo un giro per osservare Milano dal cielo, si vedeva persino la guglia più alta del Duomo e, assieme allo zucchero filato, fu l’attrazione destinata a scatenarmi i gridolini di gioia più acuti. Niente ottovolante, ma doppio giro nel “Castello delle streghe” con i vagoncini che sfilavano su rotaie incontro a fantasmi e scheletri, e una lunga tappa nel labirinto di specchi, dove mi persi letteralmente prendendo numerose capocciate in cerca del varco giusto per uscire; avevo insistito per entrarci da sola e grazie alla mia già notevole altezza avevo ingannato il proprietario circa la mia età, mamma e zia complici di quello che doveva essere il mio regalo di compleanno speciale. E fu il giostraio a recuperarmi e a mettermi sul sentiero verso l’uscita, dove mamma e zia erano pronte ad accogliermi, come se fossi ricomparsa dopo un decennio trascorso chissà dove.

“Carlotta, ti sei spaventata?” Mi chiesero. Ma io non avevo avuto affatto paura, mi ero divertita a guardare il mondo dai vetri, protetta e felice di girare là dentro, dove sarei rimasta volentieri ancora a lungo. E poi le palline da ping pong da gettare nelle ampolle dei pesci rossi, e gli anelli da tirare attorno al collo dei cigni di plastica, in entrambe le situazioni dimostrai una mira pessima, ma zia Sandra fu formidabile, agganciò un numero interessante di cigni al punto di vincere un enorme cane di peluche di una razza immaginaria con orecchie sproporzionate, che mi mise tra le braccia, quasi soffocandomi. Sta ancora lì, spelacchiato e ciccione, pure le orecchie non si sono accorciate nonostante gli assalti impietosi del tempo, a memoria di un giorno perfetto.

E poi fu il momento della frittellona unta. Gisella, non ancora vittima del biologico, del sano, dell’ecologico, del naturale, dell’integrale e compagnia cantante, si affrettò a battere zia sul tempo nell’estrazione del portafoglio e subito dopo eravamo lì a leccare zucchero e a dire quanto mai fosse buona quella roba lì, che ci scrocchiava in bocca, che oggi a solo sentirla nominare mia madre corre dall’angiologo. Il Luna park delle Varesine è nato quasi per caso su un terrapieno abbandonato delle ferrovie, grazie a un progetto mai decollato che ha reso il terreno libero con i giostrai lesti che lo occuparono con i loro baracconi, e non furono mai fatti sgomberare. E ancora più veloce fu Gisella nel buttare alle ortiche il rapporto con sua cognata e i Bamberga tutti quando il suo matrimonio finì. Eppure ho la certezza che quel giorno insieme a zia se la spassò da matti e se chiudo gli occhi ancora le rivedo strette strette sulla stessa automobilina degli autoscontri, io schiacciata nel mezzo, in barba a ogni regola di buon senso, andare addosso con foga a chiunque capitasse loro a tiro, infilare un altro gettone nella fessura mentre la palla stroboscopica vorticava sopra le loro teste, con la messa in piega perfetta.

Così, se oggi Le Varesine, come il parco dei divertimenti veniva chiamato affettuosamente dai milanesi, appare anacronistico oltre che defunto, è lo stesso anche per l’amicizia, perché fu tale, tra Gisella e Sandra. E questo mi pare davvero molto triste.

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6 pensieri su “Il vecchio Luna Park delle Varesine (un tuffo al cuore per i milanesi)

  1. Carlotta… quindi un estratto dal tuo YA? 😉
    Molto bello. Qui non abbiamo un luna park perenne, però ci sono molte sagre e feste, alcune anche enormi, come a Grisignano di Zocco.
    E comunque mi hai fatto venire voglia di frittellaaaaaa!!! 😀

    • No, la protagonista del YA si chiama Anita.
      E’ del romanzo scritto a testa in giù, al buio, posseduta.
      Sciiii, sto facendo un esperiemento, aspetto che qualcuno venga qui e mi dica: bella storia, ma scritta malissima. Dubito che succederà. Grazie.
      La frittellona non la mangio da tantissimo.

    • Quella frittella è davvero pesantissima, poi se vai in giro magari al freddo o sulle giostre ti rimane sullo stomaco di sicuro. Noi in 3 sull’autoscontro ci stavamo, facendoci urlare dietro, ma in effetti eravamo 3 ragazzini magri magri io, mia sorella e mio cugino. Baci e Grazie.

  2. La frittella, una vita che non la mangio, mi sembra di sentirne il sapore. Ho immaginato anche di essere alle giostre, bel racconto.

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