Di La vita di chi resta di Matteo B. Bianchi (e un po’ anche di me)

Perché decidiamo di leggere un certo libro? Per la trama, per l’autore, per la copertina, per il titolo, io addirittura per la casa editrice. Molti perché si tratta di un titolo di successo, di cui in tanti stanno parlando. In effetti il nuovo romanzo di Matte B. Bianchi, libro del momento lo è, girano meme con le frasi, due amiche le hanno pubblicata nello stato di whatsApp senza aver letto il romanzo peraltro.

Eccole:

Non si guarisce.

Non si smette di soffrire.

Non ci si perdona.

Non ci si salva.

Si sceglie di.

Uscito il 31 gennaio, l’ho comprato il 1° febbraio per una serie di motivi curiosi.

Mi trovavo al Libraccio, dove volevo vendere “Crossroads” di Franzen (tradotto dalla sempre mitica Silvia Pareschi) che alla fine ho piantato lì. Ciao ciao Franzen, ti amavo ma se hai preso una botta in testa io non ti seguo, e mi cade l’occhio sulla pila dei libri nuovi nuovissimi scontati del 40%, misteri editoriali; c’è pure “La vita di chi resta” uscito solo 24 ore prima. 11 euro al posto di 18 sono un affare!

Ora, io di Matteo B. Bianchi ho letto e assai apprezzato “Maria accanto” e la sua eco è stata un faro quando scrivevo “Quanto basta per essere felici” volendo ricreare lo stesso pathos religioso ma non mistico, che ha reso credibilissima la sua storia. Ma non solo: in quel bel romanzo c’è uno svarione, l’autore ha infatti scambiato il centro commerciale Bicocca con il Bonola, che sta sotto casa mia. Così nel romanzo leggiamo che i protagonisti vanno al Bonola, che rimane aperto fino alle 23, al cinema e altre allegre cose impossibili da fare. Gli scrissi e lui mi rispose subito, gentilissimo, parecchio stupito, si era proprio confuso i due centri commerciali, e al Bonola no, non ci ha neppure mai messo piede.

Insomma mi è rimasta la convinzione che Matteo B. Bianchi abbia un’anima bella, e mi sono ritrovata a leggere “La vita di chi resta” in due sere. Fondamentalmente è un libro che mi ha fatto bene al cuore. La storia è nota: una ventina d’anni fa l’ex (ma ex da poco, si erano lasciati da tre mesi) di Matteo si è suicidato, scegliendo di impiccarsi nell’appartamento di Matteo dove avevano convissuto. Esiste dolore più grande? Esiste il modo di perdonarsi e andare aventi? Possiamo piantarla anche con la classifica del dolore?

Due i passaggi su cui i miei pensieri hanno scavato più in profondità: il fatto che in qualsiasi modo si perda qualcuno, un lutto porta sempre con sé sensi di colpa, quel “avrei potuto amarlo/capirlo di più.” Vivere un tempo migliore insieme a chi quel tempo in terra non l’ha più. Ebbene, nel mio percorso di psicoterapia, risolvere le mancanze con mio padre è una faccenda più faticosa rispetto all’infertilità. Oggi, alla seconda desensibilizzazione EMDR mentre stavamo rielaborando “io sulla bara un attimo prima che venga chiusa” alla domanda “quali sono i suoi pensieri?” avrei dovuto rispondere “voglio andare a casa”, non l’ho fatto. Oddio, forse mentire durante una seduta è una cazzata, però ho cercato di sganciarmi da quel pensiero e concentrarmi sulle sensazioni fisiche (è sempre richiesto, tipo se sto piangendo, se mi è venuta la nausea) e se – obiettivo dell’EMDR – stavo avvicinandomi maggiormente all’essere tranquilla riguardo quell’immagine precisa estrapolata dal ricordo.

La seconda suggestione da “La vita di chi resta” sono i tentacoli della disperazione che lusingano.

Il dolore è comodo, ci consente di non cambiare, di andare avanti senza in realtà procedere, di crogiolarci giustificando ogni nostra azione con quel baratro nel quale la vita ci ha gettati.

Superarlo è fatica.

Credo che ognuno troverà le proprie riflessioni a riguardo, io le sto facendo da giorni.

La struttura narrativa è notevole, indubbiamente Matteo B. Bianchi sa scrivere. Un evento fondamentale che cronologicamente avviene poco dopo la morte di S. viene raccontato solo alla fine. Questo espediente stilistico dà un buon ritmo e consente al lettore di concentrarsi sulla sofferenza. C’è altro nel quotidiano di Matteo? Sì, ma anche no, la perdita sta permeando tutto.

Tornando all’inizio del post, cioè quel “si sceglie di”, ecco nei miei pensieri vorrei smettere di giudicare chi invece non sceglie (la psicologa mi ha già detto due volte che sono un po’ troppo giudicante), e lascia che le situazioni vadano a rotoli, probabilmente non ce la fa, anche se secondo me si tira addosso un macigno molto più pesante che se tentasse di farcela.

Concludo mettendo in luce il potere banalmente salvifico della scrittura. Tra il fantastiliardo di cose la mia psicologa mi ha chiesto se in qualche modo fossi riuscita a trasformare la rabbia del fallimento adottivo e incanalarla in qualcosa; ecco io credo di averlo fatto molto ma molto bene con il romanzo “Le affinità affettive”.

Matteo B. Bianchi ha impiegato vent’anni a prendere quello smarrimento e decidere di salpare per una rotta intima, per approdare dall’altra parte del supplizio senza via di ritorno.

E io per questo gli dico grazie ancora una volta.

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14 pensieri su “Di La vita di chi resta di Matteo B. Bianchi (e un po’ anche di me)

  1. WOW. Wow per questo post, che è chiaro ti sia uscito di getto e a caldo ed è BELLISSIMO, anche/soprattutto per i rimandi personali, wow anche per questo scritto a cui devo capire se son pronta ad avvicinarmi.
    Hai detto una grande verità ” -Il dolore è comodo, ci consente di non cambiare, di andare avanti senza in realtà procedere, di crogiolarci giustificando ogni nostra azione con quel baratro nel quale la vita ci ha gettati” . Brava, bravissima, non lo si poteva esprimere meglio. Ma il vero quesito è: quanti di noi sono pronti a mettersi in gioco, ad attraversare tutto quel buoi per rimediare – forse – uno spiraglio di luce?
    Perciò onore al merito a te, che non ti sei tirata indietro.
    Io sono molto più pavida.
    Ma ripeto, un post meravoiglioso che è di grande ispirazione. Quindi chissà!

    • Grazie per l’entusiasmo e quel BELLISSIMO galattico. Sì, talmente di getto che a un certo punto ho pure sbagliato il titolo del romanzo, ora corretto.
      Grazie a te davvero perché mi sento così felice ora di aver ripreso il blog se questo è ciò che ora riesco a fare (e tu mi ha spronato a tornare quindi grazie triplo).
      Confermo che attraversare il buio è un gran casino ma ne vale la pena. Bacioni

  2. 1) Mi hai fatto venire voglia di leggere il libro. 2) La frase “anche se secondo me si tira addosso un macigno molto più pesante che se tentasse di farcela” è verissima, e secondo me è proprio lì che sta la chiave per capire quanto sia difficile per certe persone scegliere di tentare. 3) Bravo lo scrittore che ci ha messo vent’anni ma alla fine ce l’ha fatta! Scusa per l’elenco puntato e grazie per questo bel post!

    • Sono sincera, aspettavo questo commento perché ti so sensibile a questi argomenti, quindi grazi di esserci.
      Sì, sta lì, oltre che in parte nel discorso economico. Per quanto conosco molte persone che non hanno bisogno di elaborare nulla, stanno bene, sono risolte, fantastico per loro davvero, ma anche tante che diamine dovrebbe correre. Dal canto mio sono un po’ satura e vedremo come arriverò a giugno.

  3. Post bellissimo, sai già che penso di comprare questo libro (riuscirò mai ad andare in libreria?) ma con questo post mi hai dato una spinta ulteriore. Con i lutti dell’ultimo anno questi pensieri mi stavano ribollendo dentro, ma non riuscìvo a dar loro forma, forse Matteo e tu, nel tuo commento, ci siete riusciti!

    • Grazie Cristina, ti sono grata per questo commento così sentito, sicuramente il testo di Matteo saprà dare risposte o perlomeno condivisione di pensieri di un certo spessore e sbloccherà qualcosa in te.

  4. Ci sono dolori che vanno elaborati e serve tantissimo tempo, la scrittura può salvare e aiutare a superare lutti e mancanze, a te per esempio é successo con Le affinità affettive. Anch’io ho superato alcuni dolori scrivendo un paio di romanzi, grazie ai quali mi sono riconciliata con il mondo e con me stessa lasciando andare certi sensi di colpa. A volte troviamo il libro da leggere adatto all’attimo in cui viviamo e di cui abbiamo bisogno in un dato momento. Mi è capitato diverse volte.

    • Dici bene: lasciare andare. Oggi con la psicologa si parlava della morte (sempre argomenti leggeri) e dell’ipotesi che per chi crede è certezza dell’aldilà e lei mi ha detto “immagini suo padre nel luogo che la fa sentire meglio” e questa frase molto semplice mi è parsa molto confortante.
      Anche a me è capitato molte volte di leggere il libro giusto al momento giusto, proprio anche con Franzen che qui cito per una delusione, che invece con Le correzioni fu parte di quel periodo tristissimo subito dopo la morte di mio padre.
      A sto punto dovrei bilanciare con un prossimo post allegrissimo.

  5. La scelta di un libro da leggere, per me ha tante variabili. Il titolo mi deve trasmettere qualcosa, l’immagine di copertina mi deve colpire, la trama mi deve incuriosire, in ultima, cerco le recensioni di chi ha letto il libro e mi faccio un po’ guidare, ma non troppo. La cosa più importante però, è la predisposizione in quel preciso momento della tua vita, di farti avvolgere, di immergerti, in una storia che hai voglia di ascoltare. Non conosco lo scrittore che citi, non ho mai letto nulla. Leggerò sicuramente il libro scritto dopo il suicidio del suo compagno. Ho vissuto in prima persona un tentato suicidio di una persona con cui vivevo, è un vero trauma, uno shock difficile da elaborare, nonostante la persona non sia riuscita a portare a termine l’atto, grazie al nostro pronto intervento. Non so pensare la difficoltà di superare un atto così distruttivo portato a termine. Un mio giovanissimo parente stretto che non frequentavo, è riuscito nell’intento. Non so come facciano i genitori…sto male al solo pensarli.

    • Mamma mia che brutta cosa hai vissuto. Il suicidio è qualcosa di talmente tremendo che non ci sono parole per chi appunto resta, e questo romanzo getta una luce sul dopo. Se lo leggi, fammi poi sapere, qui o dove vuoi, il tuo parere. Grazie.

      • Ho finito di leggere il libro due giorni fa. È un bel libro, ben scritto, ma pensavo che andasse più a fondo del periodo che precede l’atto del suicidio, per meglio spiegare le dinamiche del disturbo mentale che porta una persona a non vedere più una via d’uscita. Forse essendoci passata due volte per quella strada, avendo vissuto l’esperienza, avevo più aspettative. Avrei voluto riconoscermi in quelle frasi, ma non è successo. Non so, mi è mancato qualcosa. È vero poi che il fatto era accaduto vent’anni prima, quindi certe cose si sono elaborate e vorrei dire anche dimenticate, per proteggersi forse, da tutto il male che si è sofferto.

  6. Non sapevo nulla di questo romanzo, che fosse in classifica e il tema, sono rimasta per due mesi nella bolla dello studio… Non riesco a immaginare l’impatto di un evento del genere, devastante, paralizzante direi. Ma ho avuto i miei lutti e, specie nell’ultimo, ho dovuto ripensare un po’ alla mia vita. Per mesi mi sono trascinata, ero io ma ero vuota, e avrei potuto continuare così, rischiando la depressione, quella vera. Mi hanno aiutato delle persone straordinarie all’epoca, non psicoterapia ma persone “normali”. E ho preso un paio di occasioni, tra cui la lettura e la scrittura. Con un’incoscienza unica, del tipo “tanto che ho da perdere? ho già perso tutto…”, mi sono iscritta in palestra. Ci sarei riuscita lo stesso da sola? Non credo. Per questo penso che, a volte, le persone che si crogiolano nel dolore solo non hanno l’aiuto giusto lì intorno.
    Su quel “si sceglie di” vado molto all’umore. Ho il tavolino pieno di libri belli, ma esco da un periodo di studio, fatico a leggere. Alla fine ho ceduto: ho preso in super saldo “La tentazione di essere felici” di Lorenzo Marone, un autore che ho adorato questa estate in “Tutto sarà perfetto”.

  7. Parto dal fondo, hai fatto benissimo a prendere il libro di Marone, ti attirava più di tutti gli altri e allora concediti questa lettura oltre il mucchietto, diamine, soprattutto dopo la fatica e la vittoria del concorso.
    Chi ci circonda è fondamentale, per te la palestra, per altri magari la vicina di casa e ti propone il corso di ikebana.
    Questo libro è potente, ma ti dico, a inizio mese è stata una lettura giusta, ora, dopo solo due settimane no, ho bisogno di leggerezza.

  8. @Moki, ti ringrazio davvero tantissimo per essere tornata a condividere la tua opinione. Ti dirò, sinceramente a distanza di un mesetto mi rendo conto che di questo libro non mi è rimasto attaccato tanto. Poi vabbeh probabilmente sono condizionata dal fatto che l’autore mi è parso infastidito da questo post, non ha rilanciato le mie story su Ig, cosa che sta facendo di continuo con chi lo tagga e sollecitato da una mia mail ha risposto “originale e personale” boh non mi è parso un gran che di feedback a fronte di questo mio post così intimo. Mi viene pure da dire che quando un libro oltrepassa una soglia di gradimento mediatico si allontana un po’ da una sfera emozionale.

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