L’ennesimo attacco ai romanzi rosa

Parlare male dei romanzi rosa è un’attività talmente facile che ciclicamente qualcuno ci prova, solo che sto giro ad averlo fatto all’indomani dell’omonimo festival è stato il post in questo articolo.

Non sono quindi mancate le reazioni di chi scrive, legge e ama il genere, in particolare delle autrici attaccate nel pezzo, che si sono fatte sentire nei social.

Provo a dire la mia, che rimane appunto la mia opinione di autrice e lettrice (anche) di romance, un po’ di sbieco, ma che crede di avere una certa competenza.

Premessa: non sono mai andata al FRI, 30 euro di biglietto ritengo siano improponibili, ma una certa curiosità in merito ce l’ho, comunque chi ha voglia di spenderli fa benissimo ad andarci perché assecondare le proprie passioni e fare il pieno di energia è sacrosanto.

L’articolo l’ho trovato oggettivamente brutto, scritto male, pessimamente argomentato. Generalizzare non va mai bene, criticare scrittrici che vendono davvero molto significa non solo colpire loro, ma anche le loro fan, mentre io credo che tutto ciò che ha un grosso seguito ed è onesto meriti solo rispetto, anche se non ci piace, anche se leggiamo altro. Neppure McDonald è Cracco ma mi pare se la passi piuttosto bene da anni.

Il vero problema è che l’articolo è del tutto inutile: non spiega le dinamiche editoriali, non approfondisce l’arcinota questione che spesso romanzi pubblicati in self si siano fatti notare da editori di grido, non racconta quali siano gli elementi che hanno fatto breccia nei cuori delle lettrici; in più non simpatizza neppure che le lettrici che magari stanche dopo una giornata di lavoro si rilassano col santo e puro intrattenimento, ma le ridicolizza.

La giornalista non ha insultato nessuno, certo, ma affermare che tutti i romanzi rosa avrebbero “una prosa sciatta, personaggi poco approfonditi, problemi nella struttura, sviluppi di trama prevedibili” è falso e un po’ offensivo.

Nel vasto panorama dei rosa è innegabile esistano opere tremende, che ricadono tristemente in quelle definizioni infelici che l’autrice del Post ha attribuito a tutti, ma il bravo giornalista sa scindere, propone uno sguardo diverso, allarga gli orizzonti, scopre qualcosa di nuovo e in quell’articolo non c’è nulla di tutto ciò.

Il mondo di cui parla non mi appartiene, nonostante abbia pubblicato almeno quattro romanzi e una serie nutrita di racconti: sono un’autrice di punta della collana Passioni romantiche di Delos Digital. Ma questo non significa nulla, io, a dirla tutta, in quel settore editoriale avrei voluto entrarci, ma non ci sono riuscita. Analizzando i miei libri credo, cosa già detta più volte non tanto da me quanto dalle mie lettrici, siano un po’ ai margini del genere. Talvolta mi dico che non sono sufficientemente commerciali, lo dico per non abbattermi, e se buona parte degli editori tipici del rosa non accettano manoscritti e quindi è davvero difficile accedervi, almeno uno citato nell’articolo ha rifiutato di recente un mio testo, quindi proprio no, non vado bene.

Ragione e pentimento è nella collana rosa di goWare ma è un po’ una forzatura, forse sarebbe stato meglio metterlo nella narrativa non di genere; Figlia dei fiordi invece è proprio un rosa, ma i più rosa sono di sicuro Sono una donna non sono (solo) una sarta e Incanto in Bretagna (ex Un cuore in Bretagna) che rispondono perfettamente ai canoni, infatti continuo a credere che non avrebbero sfigurato nell’editoria di fascia più alta, ma non è che possa sempre attaccarmi alla sfortuna, quindi magari no, non sono dei veri rosa e io di rosa non so nulla. A proposito di non sapere, non so se andrò mai al FRI, di certo non da lettrice (sempre per la faccenda dei 30 eurini) mentre da autrice ho ancora qualcosa in valutazione proprio da editori che vi hanno preso parte (ammesso che le autrici abbiano un pass) quindi è una partita ancora aperta.

In definitiva non mi sono sentita affatto toccata da quell’articolo, ma sto di sicuro dalla parte di chi è stato chiamato in causa.

E poi che gran perdita di tempo denigrare.

Piccolo elenco di cose che si potrebbero fare in alternativa, scritto di getto, proprio come viene: mangiare un gelato, fare l’amore, non fare niente, sistemare i farmaci messi alla rinfusa, gettando quelli scaduti, accarezzare un cane per strada, googlare i nomi dei posti che abbiamo visitato cliccare poi su Immagini e immergersi nei ricordi.

Scrivere un romance.

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Come comunicare

Sono giorni che cerco di mettere insieme un post sulla comunicazione e stasera mi è capitato un fatto che, diamine, è la perfetta rappresentazione di come non si dovrebbe comunicare.

Si è presentata alla porta una vicina con la quale ho un cordiale rapporto, senza che né io né lei siamo mai entrati nell’appartamento altrui, mi chiede il numero di telefono dell’Orso, disgraziatamente consigliere del condominio perché non lo vuole fare nessun altro, per mandarmi una foto del solito scempio del locale spazzatura. Parliamo un po’ della faccenda, le do il mio numero e poco dopo mi ritrovo con una foto e diversi messaggi scritti a riassunto di quanto c’eravamo dette. Infine un vocale, eh cavoli, penso, hai il mio numero da dieci minuti i vocali proprio no. Lo ascolto e non è per me, bensì per un’altra vicina sua amica, le racconta di essere stata da me e conclude con  “speriamo facciano qualcosa!”

Rispondo, per iscritto, che mi è spiaciuto sentire che spera faremo qualcosa, visto il da fare che si dà mio marito, e che ci stavamo già organizzando per sollecitare l’amministratore. Morale, mi fa un altro vocale per dirmi che “speriamo ecc.” era rivolto all’amministratore, non a noi, quasi offesa per il mio fraintendimento.

Ecco, io credo che un problema enorme di questo tempo bislacco sia l’incapacità di comunicare in maniera perlomeno efficace. Sul lavoro è un continuo, mail lunghissime dove si perde il focus, laddove spesso a mie domande specifiche basterebbe sì o no come risposta. In politica una serie di inciampi grotteschi dove si confonde l’umiltà con l’umiliazione. Nelle relazioni la frequente mancanza di attitudine nell’esternare con chiarezza i propri bisogni senza lagne. Nel mio privato ho vissuto con un padre taciturno, la cui riservatezza è stata un limite enorme nel nostro rapporto.

Gli ostacoli tra noi e le persone con cui entriamo in contatto per svariati motivi ogni giorno sono le parole non dette, quelle sbagliate per le quali ci si perde senza porre rimedio in tempo.

Sui social poi è un disastro; sto leggendo un libro che mi sta dando una serie di cazzotti sul tema, al punto che questa sera uscita dal lavoro ho deciso di non rincasare subito e deviare verso p.za Tommaseo, luogo iconico milanese ogni primavera per la fioritura delle magnolie super fotografate. Ho ammirato il giardino ma niente scatti, a parte che non sono così brava, ma soprattutto ho pensato di evitare di fare una story su Instagram, dove a questo punto mi chiedo cosa desidero sul serio comunicare.

Qui nel blog credo sia diverso, e questo post nasce proprio da un fatto molto particolare avvenuto al Bookpride. Mi sono avvicinata allo stand di Sur, una casa editrice che in pochi anni ha saputo imporsi sul mercato con un catalogo davvero interessante e di pregio. Non volevo comprare nulla e sono rimasta qualche minuto indecisa se dire alle giovani donne dietro al banco che due loro libri sono stati tra le mie letture preferite degli ultimi anni, mi riferisco a Capannone otto e Acqua di mare. Mi sembrava un po’ brutto fare i complimenti senza che seguisse un acquisto, ma poi ho scelto di dirlo e col mio piglio entusiasta, ma anche in quel frangente un po’ titubante, ho detto semplicemente “volevo dirvi che avete pubblicato due romanzi che ho amato tantissimo”. La ragazza carina-carina mi ha guardata e mi ha detto:

“Ma sei Sandra?”

Lì ho fatto una scenetta da cretina tipo “oh, sono famosa!” Ma vi garantisco che ero davvero incredula.

Insomma era una mia lettrice quasi sempre silente, e le rare volte che esce allo scoperto lo fa con commenti lunghi e stupendi, con la quale evidentemente in qualche modo si è creata una connessione davvero speciale se mi ha riconosciuta.

Superato lo shock, abbiamo parlato di Acqua di mare, e io non vedo l’ora di rivederla a Torino per scegliere insieme a lei qualche libro da portarmi a casa.

Quello che mi rimane di questo incontro, oltre allo stupore e alla gratitudine, è l’idea di avere negli anni comunicato bene attraverso questo blog, di essere riuscita a portare davvero me stessa qui e quindi lì da voi. Me stessa e i libri fondamentalmente (e i tubi, ovvio).

Negli ultimi tempi comunicare i libri è diventato un massacro. Trovo che i book influencer facciano spesso un pessimo lavoro, fagocitato dalla voglia di conquistarsi i volumi omaggio degli editori, simbolo distintivo di un valore il più delle volte inesistente. Sdilinquimenti per l’unboxing, leggere venti libri in un mese, svenire per il pre order di titoli che nel giro di una settimana saranno già finiti nell’oblio sono tutte cose che non mi appartengono ma che evidentemente su Instagram piacciono.

E niente adesso saluto Eleonora e tutti voi, mi fiondo sul divano, ma prima vi lascio il link per p.za Tommaseo clicca per le magnolie. Non sono una meraviglia?

Mille vite e un Bookpride

Appena ho saputo che a marzo sarebbe tornato il Bookpride è iniziato il tormentone “vado non vado, e se vado, quando vado”; ci stavo ancora meditando su quando Clara Nubile mi ha fatto un vocale, ascoltato in una pausa dal tediufficio, dicendomi che sarebbe venuta per un incontro sulla traduzione, ovvero The empire writes back e non ho più avuto alcun dubbio. Letta poi la locandina dell’evento ho scoperto di conoscere un’altra delle tre relatrici, cioè Silvia Castoldi che ora vive in Trentino, ma è originaria di Milano e abbiamo frequentato un corso di scrittura insieme, per poi ritrovarci qualche anno dopo in finale a Giallo milanese, concorso con le sfide in presenza. Avrei rivisto volentieri anche lei.

Il weekend del Bookpride è cominciato con un aperitivo che ho organizzato qui a casa per il gruppone delle mie amiche del mio anno di nascita del mio vecchio quartiere. Sono venuto solo in cinque, un numero sufficiente per mandarmi in sbattimento coi preparativi; una a cui tengo particolarmente mi aveva detto di no, per poi farmi una super sorpresa e presentarsi alla porta. Serata riuscita, va detto.

Stiamo parlando di baldanzose cinquantenni provenienti dalla stessa scuola elementare, una vita fa. Ma quante vite viviamo? Io e Clara ci siamo conosciute in una latitudine lontana delle nostre mille vite, una landa del non più che abbiamo attraversato abbracciate, per poi perderci, e non vederci per undici anni. Un fiume nel mezzo, una roba che non riesco neppure e spiegarla. Tipo che undici anni fa questo blog non esisteva, non portavo gli occhiali, non avevamo ospitato Natallia, i nostri papà erano ancora vivi. Quindi gli anni di frequentazione erano stati giusto un paio, eppure l’abbiamo sempre saputo, anche nei momenti in cui la nostra vita insieme era solo silenzio e distanza: ci saremmo rincontrate tra i libri perché in realtà non ci eravamo mai lasciate. La luce tra noi era sempre rimasta accesa, anche nelle stanze vuote delle nostre esistenze da rincollare.

Ed è stato proprio così con la riunione fisica tra i volumi. Io ero emozionatissima.

Il Bookpride in sé è stato una piccola Torino ordinata, in una nuova sede dopo averne cambiate diverse. Si è girato bene senza troppe sorprese tra gli stand, perché avevo già in mente cosa comprare e non mi sono lasciata attirare da altro. Abbiamo intercettato Vippini che si credevano Vipponi, ed editori amici. In genere comunque la proposta mi è parsa di elevata qualità, varia e interessante.

Individuata la Sala dell’evento di Clara, fortuna ha voluto che ci fosse fuori un tavolo con due sedie libere e ci siamo piazzati lì ad aspettarla dopo aver concluso i giri. Mi è arrivata alle spalle, undici anni polverizzati in un abbraccio, mille vite riassunte in poche frasi, le foto e poi l’incontro, dove davanti a me era seduta una terza traduttrice che conosco, Sara Crimi tra le ingaggiate per tradurre Spare. Pazzesco. Mi ha fatto piacere ritrovarla.

Il convegno è stato spettacolare. Io non sono nessuno, si sa, ma le parole sono incastrate tra le mie ciglia, quando leggo esamino ogni scelta lessicale e me ne innamoro se particolarmente riuscita. Confronto le edizioni diverse per scoprire le differenze nella traduzione, e ho apprezzato tutto, un’ora volata in un soffio di vento eppure tanto densa.

Clara, che si è fatta Brindisi Milano Brindisi in un giorno, ha lasciato la fiera poco dopo di noi, e ci siamo casualmente rincontrate al binario della metropolitana, i casi della vita, di una delle tante vite, quella di adesso con l’epicondilite al braccio e  i fiori di marzo, ha voluto che perdessimo il convoglio precedente (e io a recriminare “che scema sono stata dovevo correre” invece no, che se l’avessimo preso non avremmo goduto della presenza di Clara ancora per una ventina di minuti).

La giornata si è per noi conclusa sui Navigli con un pranzo tardivo alla gyreria greca. E’ stato tutto speciale sul serio, ma rivedere Clara mi ha raccontato che la vita a volte cerca di fare ammenda e in mezzo all’uragano ti offre splendidi compagni di navigazione.

Un miracolo dal nome Marzolina

La sera stessa in cui ho pubblicato il post che tanto è piaciuto sui libri dell’infanzia, trovo su Amazon Vevi in edizione originale del 1959, proprio quello che avevo letto io all’epoca, della stessa collana Vallecchi con la costa di iuta di Zolfanello, io al momento ho una riedizione Salani degli anni ’90. Costa 20 euro a cui vanno sommati 4 euro per la spedizione. Ci penso su parecchio, poi Emanuele mi ricorda che ho i suoi buoni acquisto libri che mi ha regalato per il compleanno. Vero, non l’avevo dimenticato, ma tendo sempre a comprare romanzi economici, perché i buoni che mi ha fatto sono stati ben sei. Lui dice che non importa, io trovo il compromesso che il volume storico di Vevi, che in effetti no, non può mancare nella mia libreria, varrà due buoni e lo ordino gongolando. E’ già arrivato ma avendolo fatto consegnare in ufficio, non era venduto direttamente da Amazon quindi non si possono usare i punti di ritiro, lo recupero domani.

Qualche giorno fa è arrivato Marinella Super, lo troverete nelle letture di marzo.

Il mattino seguente al post succede quello che vado raccontandovi. Cristinabia ha messo la breve trama del romanzo introvabile su FB in un gruppo di libri per bambini, così quando mi alzo ho già il suo screenshot della conversazione dove una certa Eleonora con un’intuizione notevole dice “per caso è uno dei libri di Marzolina? Io li adoravo da bambina.” Marzolina, il mio cuore sussulta, è lei! In realtà nella testa mi girava una M ma col fatto che l’altra protagonista si chiama Marinella pensavo si riferisse a lei.

Parte la caccia al libro su eBay, dove ne trovo tre: Marzolina, Dai Marzolina e La banda di Marzolina. In realtà nessuno dei tre titoli e neppure le relative copertine mi dicono granché. Non ci sono le trame per cui contatto i tre inserzionisti e le chiedo.

Tutto questo con un’euforia un po’ da drogata. Dopo qualche ora, quando uno dei tre mi ha risposto con una descrizione della storia che non è quella che sto cercando, eBay mi propone un quarto volume, dal titolo Marzolina tutta pepe, la copertina ha uno stile completamente diverso dalle altre, quella tonalità di verde mi apre un cassettino nei ricordi… Bingo.

Non ho bisogno di sapere altro, è lui e non mi pare vero.

Non trovo il tasto acquista, non sono pratica di eBay e non capisco subito che il libro è stato messo su un’asta, la cui base è di soli 99 cent. Rilancio a 1 euro e scrivo al venditore che desidero comprarlo e che vorrei una spedizione con raccomandata. Lui, gentilissimo, risponde a tutte le mie folli ansie, l’asta scadrà quella stessa sera, tocca attendere poco. Controllo l’orario, finisce alle 20.08, ma non ho bisogno di verificare la situazione perché allo scadere eBay mi avvisa subito che ho vinto. Oddio, è chiaro che sono stata l’unica partecipante.

Procedo con l’acquisto, non trovo l’opzione spedizione tracciabile, clicco la più costosa valutandola più sicura e via.

Il Sig. Venanzio, che per guadagnare 1 euro si ritrova con una pazza imbranata alle calcagna, mi scrive subito che non ho scelto la raccomandata, se la voglio devo pagare altri 3 euro. Gli rispondo che non ho visto dove fosse la raccomandata, che vorrei certo integrare la cifra ma ora come si fa? Lui ci pensa e mi propone di acquistare un altro libro la cui asta sta per concludersi, lui tratterrà i soldi per la raccomandata senza mandarmi il libro. Io non capisco dove diavolo sia questo libro da comprare… poi finalmente realizzo che basta cliccare sul suo pseudonimo su eBay cioè Venny e trac il campionario dei libri che ha messo all’asta appare. Clicco su quello prossimo alla scadenza, roba di dieci minuti, e gli scrivo.

Poco dopo mi arriva un messaggio via whatsApp con la foto del libro e del modulo postale col mio indirizzo, dice che andrà in posta l’indomani.

Martedì probabilmente siamo usciti di casa un minuto prima dell’arrivo del postino, che arriva sempre entro le 11.30 (abbiamo accompagnato mia suocera a un’importante visita medica) e alla sera quando finalmente quell’estenuante giornata è giunta al termina, abbiamo trovato in casella l’avviso per andare a ritirare la raccomandata all’ufficio postale.

Per scrupolo ho verificato il codice con la foto che il mitico Venny da Pordenone mi aveva mandato: era lo stesso.

Purtroppo è toccato attendere oggi, ieri il pacco non sarebbe stato ancora disponibile. Al mattino avevo la psicologa, poi ho fatto alcune commissioni ed era quasi mezzogiorno quando sono riuscita ad andarci. Quattro persone davanti a me, poi finalmente la busta tra le mani. Ero certa che fosse proprio lui, il romanzo tanto amato, prestatomi da Cristina e ritrovato da un’altra Cristina, pensa te il caso, ma meglio verificare. Ho aperto una pagina a caso e la prima parola che ho letto è stata “medaglione”. Se mi avessero regalato un diamante non sarei stata così felice.

Ho inviato subito un messaggio al gentilissimo Venny, che mi ha persino augurato buona lettura. Che personcina ammodo.

Sfogliandolo ho ritrovato le illustrazioni, non è un albo illustrato ma ha qualche figura qua e là, tipo quattro o cinque, e il mio cervello le ha riconosciute come già presenti nei file della mia memoria: lo scompartimento del treno, il cappottino.

E così, in meno di due settimane, ce l’ho fatta. Grazie al post, grazie a Cristina ed Eleonora a me sconosciuta, grazie fondamentalmente all’immenso potere delle parole e delle storie.

Sono oggettivamente molto colpita.

Faccio un recap nella libreria e conto quanti erano i libri che desideravo ritrovare, quelli che non possedevo. Sette e ora sono miei, non ne manca nessuno e sono tutti nelle edizioni originali degli anni ‘50/’70. In tutto ho impiegato una decina d’anni, con una formidabile accelerata negli ultimissimi tempi.

Io penso sia incredibile e anche meraviglioso.

Cristina, ti sono debitrice, Marzolina è molto fiera della tua efficacissima indagine che ha portato alla risoluzione di un vero cold case.

Letture e felicità di febbraio

Febbraio non è stato un mese wow e neppure le letture.

Tuttavia c’è davvero molto da salvare in entrambi i campi. Partiamo con l’elenco dei libri.

  1. Crossroads Jonathan Franzen abbandonato
  2. La vita di chi resta Matteo B. Bianchi voto 8
  3. Chi dà la luce rischia il buio Giulia Ciarapica abbandonato
  4. La prova del nove Ellery Queen voto 8
  5. Due settimane in settembre R.C. Sherriff voto 7 ½

A febbraio come prima cosa ho ripreso in mano Crossroads per rendermi subito conto che proprio non andava: noioso, pesante, nessuna voglia di proseguire, la sua fine è nota. Al libro di Matteo B. Bianchi ho dedicato un post, mentre quando ero andata in biblioteca a riportare Lezioni di chimica avevo visto il libro della famosa perlomeno su Ig Giulia Ciarapix per il quale consentitemi di dire le sue groupie si erano sperticate in elogi. Mamma mia, due abbandoni in un mese sono tanta roba da digerire. L’emozione dominante rispetto a Chi dà la luce rischia il buio è fastidio, personaggi antipatici, menate familiari già viste. Ciao ciao anche a te e tutto il mondo di queste scrittrici che si sostengono tra loro, endorsement come se piovesse, ma basta

Caso vuole che abbia pescato in un circolo del PD (che febbraio è stato per noi lombardi il mese delle elezioni è questo ha contribuito al mio avvilimento) un Ellery Queen che non avevo letto, ohibò, di solito il mio adorato Ellery merita 10, questo è un po’ fiacco nelle prima 30 pagine per il semplice motivo che, stranamente, Ellery entra in scene tardi, appunto dopo 30 pagine, poi esplode come sempre con le sue tecniche investigative e la sua super simpatia.

Il vero caso è questo Due settimane in settembre edito Fazi che volevo tantissimo leggere e ho atteso di trovarlo in biblioteca, per fortuna aggiungere. Sembrava proprio il mio genere, eppure dal voto capite che non è stato amore travolgente. Cosa non ha funzionato? Passo indietro, il romanzo è uscito nel 1931 e con la pandemia è stato riscoperto, consigliato da premi Nobel, come storia deliziosa e confortante, che in teoria sì, in parte lo è, ma queste due settimane sulla costa inglese di una famiglia media, che attende la villeggiatura tutto l’anno coi suoi rituali. sono narrate con una profusione di dettagli che spesso (80 pagine e non sono manco partiti) vengono trascinate e ti viene da urlare “ok, procediamo?” Il padre poi è davvero pedante, anche collocato nel suo contesto, è il classico so tutto io, decido io, non perché sono il capo famiglia, ma ho sempre le idee migliori; dà ordini alla moglie, che quando getta il tovagliolino dal finestrino del treno avrei volentieri ammazzato, lì pare un gesto normalissimo. Una cosa buffa è che non si capisce mai quale sia il clima: gente col cappotto e coi vestitini estivi insieme, ustioni solari e maglioni. Rimangono buone certe atmosfere balneari nordiche che amo molto, ma sono felice di non averci speso dei soldi.

Sette cose/momenti felici in 28 giorni a ripensarci non sono affatto male, ma di febbraio mi rimane la sensazione che avrebbe potuto darmi di più, in realtà credo sia più una percezione mentale, quindi voglio prendermi del tempo e soffermarmi e magari proporvi prossimamente qualche riflessione.

I libri della mia infanzia

I libri per me non sono una passione, no, sono un’ossessione, e ora che abbiamo una libreria enorme mi pento (e mi ammazzerei) per tutti i libri che ho regalato/venduto nei tempi bui della mancanza di posto.

Tra gli obiettivi della mia vita, recuperare tutti i libri che ho amato da bambina e che non erano miei, prestati da amichette, prevalentemente da una, Cristina, che ora è la segretaria personale di Tomaso Trussardi, dopo esserlo stata di Simona Ventura, o presi alla biblioteca scolastica.

Con una profusione di impegno di cui vado assai fiera, certi titoli manco li ricordavo e se non si tratta di Rodari o autori molto famosi l’impresa vi garantisco che è titanica, stiamo parlando di romanzi pubblicati negli anni ’70, li ho ritrovati quasi tutti, ebbene sì, me ne manca uno solo!

Stasera ho infatti effettuato l’ordine su eBay del penultimo, scoprendo con grande gioia che anche eBay come Amazon ha dei punti di ritiro e posso quindi evitare la complicazione di dover rimanere in casa.

Neppure di questo ricordavo il titolo, la storia però alla perfezione: una ragazzina ricca viene rapita, ma, la famiglia astutamente si era procurata una sorta di bambola robot sosia assolutamente confondibile con la figlia che manderà in crisi i rapitori. Intelligenza artificiale più di quarant’anni fa, c’è da riflettere. Di questo, oltre alla trama, mi giravano in testa dei nomi: Marinella, Gilda super. Inserendoli quindi in Google è saltato fuori subito: Gilda Musa è l’autrice, Marinella Super il titolo.

Per quello che mi manca la faccenda pare più complicata. Ricordo la storia: due cugine, una carina ed elegante e l’altra maschiaccio devono andare in treno nei paesi Baschi a trovare la nonna, c’è un medaglione con un segreto e un mistero da risolvere. Fine. Googlare medaglione, paesi Baschi non ha prodotto alcun risultato utile.

Se avete idee o informazioni in merito, sappiate che ho una missione e il vostro aiuto potrebbe rivelarsi prezioso, è già successo in passato che due libri mi siano stati procurati da blog amiche. Grazie di cuore.

Accadde che una sera molto, ma proprio molto fortunata, il giro agostano sui navigli (non ricordo dove cenammo) produsse un avvistamento e acquisto che ho raccontato qui. Adesso i mitici libri “Lo sai come” sono tutti e tre vicini-vicini nella libreria. Li rileggo sempre con piacere e affetto.

Ma perché mi incaponisco con queste ricerche?

Sono una nostalgica e per quanto rimanere ancorata ai ricordi del passato, seppure belli, sia un errore, avere in casa i libri che hanno rallegrato così tanto la mia infanzia mi rende davvero felice. Sono stata una bimbetta molto, forse troppo fantasiosa, ultra emotiva e sensibile. Una bambina che percorreva avanti e indietro il soggiorno di casa inventando nella sua mente storie e storie, quello era uno dei miei modi preferiti di intrattenermi, nonostante avessi una gemella con la quale giocavo parecchio, leggevo tantissimo ed esisteva la magia dei cortili. Eppure fantasticavo camminando creando situazioni, solo che spesso mi scappava di parlare ad alta voce, mi prendevano per matta, sono  stata più volte rimproverata per questo, io non riuscivo proprio a smettere.

Entrare nelle pagine di un libro e vivere mille vite, quando la mia aveva degli aspetti di cui avrei fatto volentieri a meno è stato salvifico.

I libri che sto cercando e che, grazie alla mia tenacia, ho ritrovato, sono stati formativi e fondamentali per creare il mio pensiero libero, la mia personale visione del mondo, e mi hanno fornito nozioni di vario genere che ricordo ancora. Sono stati la mia nicchia sicura dove rifugiarmi ed essere profondamente felice. Mi hanno fatto ridere e piangere. Viviamo di emozioni, non mi stanco di dirlo!

Ma voi non sareste impazziti per libri con illustrazioni e spiegazioni come questa?

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Su tre argomentoni come il corpo umano, il mondo e svariati tipi di apparecchi dal telefono all’aeroplano?

Joe Kaufman che manco ti hanno messo su Wikipedia, hai un posto speciale nel mi olimpo, ovunque tu sia. I tuoi capolavori sono fuori catalogo da anni ma forse i bimbetti di oggi non saprebbero cosa farsene di un libro che racconta in maniera divertente come funziona il tostapane, per quanto invece come si forma l’arcobaleno o come si digerisce un panino siano processi immutati.

Dal canto mio, ho riservato loro i massimi onori: adesso sono lì, hanno uno spazio dedicato, uno scaffale tutto loro, nella libreria dei sogni. Quelli che mi sono comprata coi miei risparmi a dieci, dodici anni, quelli che mi hanno regalato i miei genitori e un mio zio particolare che lavorava in Rizzoli e quelli che ho recuperato in tempi molto recenti.

Provo un senso di gratitudine immenso per chi li ha scritti, anche per chi è avvolto nell’oblio. Vediamo un po’ che sorte è toccata a Berte Bratt (il post è un work in progress, scrivo e cerco info in contemporanea), ahi anche qui la polvere del tempo è stata crudele, solo poche notizie in tedesco, niente Wikipedia, ma se conoscete appunto il tedesco, potete accaparrarvi una copia di “Zwei Briefe fur Britta” (Due lettere per Britta) cioè il titolo originale del mio amatissimo “Incontro a Parigi”. (Titolo oltretutto di un film del americano del 1937 che nulla c’entra con la mia adorata Britta sola, soletta a Parigi per una serie di sfortunate casualità).

Ma la cosa davvero sconvolgente accaduta cinque minuti fa è stata scoprire, con mio immenso stupore, che due libri della dozzina circa di cui vado parlando sono stati scritti dalla stessa autrice. Giuro, non me ne ero mai accorta. Edizioni totalmente differenti mi hanno a lungo tratto in inganno, soprattutto di “Zolfanello” non mi ero proprio mai soffermata su chi l’avesse scritto.

Cercavo informazioni per completare questo post e mi sono imbattuta nella brevissima biografia di Erica Lillegg , ha scritto solo tre libri, nome che avevo cercato riferito a “Vevi” e mi rendo conto dopo 45 anni che ha scritto pure “Zolfanello”.

Vevi, dopo aver appassionato me, è stato il romanzo che ho prestato anni fa a mia nipote che l’ha fatta diventare una lettrice accanita; prima faticava a trovare qualcosa che avesse il potere di inchiodarla alle pagine.

Mi inchino al suo talento.

E’ invece stra famosa, Christine Nostlinger, a cui è dedicata persino una pagina sulla nostra Treccani. “Me ne infischio di Re Cetriolo” fa parte dei libri che ho conservato, sopravvissuto a diversi traslochi, macchie di muffa comprese (è stato a lungo in cantina) amatissimo.

Completano il gruppo i romanzi per ragazzine di Brunella Gasperini, che non ha bisogno di presentazioni, e la riedizione del 2009 in un gran bel volume delle vignette della Stefy di Grazia Nidasio che leggevo sul Corriere dei Piccoli. Infine, per motivi che non sono chiari neppure a me, ho sistemato Gianni Rodari e il meraviglioso “Storia di una scimmia” di Pietro Sissa in altre librerie, magari li sposto.

E adesso speriamo che le poste non si perdano Marinella Super… non vedo l’ora di rileggerlo.

No buy year, ce l’ho fatta!

Alla fine ho deciso di non chiudere il No buy year il 31 dicembre, ma di farlo durare proprio 365 giorni, quindi avendolo iniziato il 23 febbraio 2022, come vi ho raccontato in questo post, si conclude oggi.

Ieri mi è arrivata una borsa che sognavo da un po’ e questi pochi giorni di discrepanza sono unicamente dovuti al fatto che la proprietaria Carlottina mi aveva gentilmente avvisata di aver rimesso in produzione proprio quella che mi ero persa (aspettando appunto la fine del No buy year) andata sold out con i saldi. Mi pareva brutto dirle che avrei atteso ancora, mancando così poco, dopo che lei oltretutto aveva sempre risposto con grande gentilezza ai miei mille dubbi sull’acquisto on line.

Insomma, per un intero anno non ho comprato scarpe, borse e abbigliamento. Niente. Qualcosa di intimo, non era incluso nel programma, comunque indispensabile, un cappello di lana e pelo da Hallstatt, che considero un souvenir (i negozi ne erano pieni), ho rimpiazzato la mutandina di un costume, poiché bucata e sarei rimasta sguarnita col reggiseno nuovo, comunque trovata a 5 euro da Calzedonia. Ho ricevuto in regalo un cappottino vintage, o meglio, dei soldi per il mio compleanno, coi quali, aspettando i saldi, un paio di settimane fa ho comprato questo cappottino verde che sta facendo furore. Un regalo dunque, a cui non ho aggiunto neppure un euro.

In molti momenti è stata dura, soprattutto durante le svendite ho visto diverse cose che avrei comprato volentieri, dura ma non durissima, mi sono concessa meno giri per i negozi, ovvio, ma non li ho eliminati, hanno rappresentato una sorta di prova di resistenza, ma anche una semplice visione circa le novità di moda. Ho soprattutto imparato ad abbinare diversamente quanto ho nell’armadio, ad approcciarmi allo shopping in maniera più consapevole, per quanto non sono mai stata un’amante né delle firme né tanto meno del fast fashion.

L’obiettivo primario non è mai stato quello di risparmiare, non ho neppure mai speso capitali in vestiti, va detto che davvero ho sempre comprato tantissimo con i saldi, e che l’acquisto impulsivo di capi che poi boh stanno lì senza essere usati è sempre stato molto raro, qualche sbaglio ci sta, valutazioni errata ne ho fatte, ma appunto sporadico e poi le cose me le faccio durare moltissime stagioni. Tuttavia non comprando e monitorando con cura le mie uscite mensili è stato interessante scoprire dove sarebbero finiti quei soldi, su cosa li avrei dirottati. Accantonati o spesi altrove?

Ho fatto regali un po’ più costosi all’Orso, mi sono concessa qualche aperitivo e colazione in più al bar, e soprattutto fatto una grossa spesa con il trattamento di epilazione definitiva col laser in un centro estetico, cosa di cui sono stra felice e avrei dovuto fare prima. La cifra verrà ammortizzata, non dovendo più fare la ceretta, ma al momento a occhio si è presa all’incirca il gruzzolo del No buy year.

In definitiva è stata una sfida importante e anche bella, soprattutto costruttiva, di cui vado molto fiera, che non verrà abbandonata nella sua essenza.

Lo sguardo delle donne

Tre donne si conoscono in una sera di fine settembre alla presentazione di un romanzo. Qualcosa di importante avviene in quel giardino: si racconta un libro che l’autore, mancato prematuramente, non ha potuto terminare, affidandone la conclusione a un caro amico, che ha quindi raccolto il testimone narrativo ma anche umano. Un temporale fragoroso metterà fine alla serata, per fortuna giunto quando ormai il pubblico stava lasciando la libreria. Potrebbe non esserci alcun seguito, se non la lettura privata del romanzo, ma le cose andranno diversamente.

Loredana ha attaccato discorso con Sandra e con Valeria, separatamente. Una chiacchierata interessante e simpatica che le ha indotte a rivedersi.

Cos’è accaduto oltre quell’evento? Perché le donne hanno questa grande capacità di condivisione e la voglia di ritrovarsi?

Di cosa parlano allora le donne attorno a un tavolo? Oltre gli stereotipi, no, non (s)parlano di uomini, può capitare, ma davvero molto meno di quanto si pensi, non si scambiano ricette di cucina. Hanno uno sguardo universale sul mondo. Valeria Sgarella ci porterà nel suo, quello della musica grunge di Seattle a confronto con il fenomeno delle riot girl, femministe punk americane, pressoché contemporanee, che hanno fatto, agli inizi degli anni ‘90, a loro modo una rivoluzione nel mondo della musica e non solo. Sandra Faè in quello delle relazioni familiari, con un occhio di riguardo agli adolescenti, alla fatica di crescere e al dilemma che non termina con l’età adulta, di decidere da che parte stare. Loredana Betti, psicoterapeuta, psicoanalista ideatrice del progetto, unirà i fili di una tela con maglie molto larghe, per lasciare passare idee e confronti.

Questo è solo l’inizio, proporremo autrici che hanno avuto la possibilità di pubblicare con editori meno blasonati ma di qualità, la classica nicchia, e desiderano farci sapere qual è il loro sguardo. Parleremo insomma di libri con la scusa di parlare di vita, ma soprattutto di vita con la scusa di parlare di libri.

L’essenza è il superamento con leggerezza Calviniana degli affanni quotidiani che assorbono la bellezza. (Ri)trovarsi con semplicità.

Con non poca fatica, anche perché Loredana abita ad Arezzo e torna a Milano una volta al mese, e non sempre quando le altre sono libere da impegni lavorativi che consentano di incontrarsi di giorno, questo progetto (mio il testo di presentazione) è stato accettato con grande slancio alla libreria dove Loredana, Sandra e Valeria si sono conosciute.

Partirà ad aprile, il mio romanzo verrà presentato a maggio, per giugno abbiamo reclutato una giallista con un nuovo romanzo in uscita e se, come speriamo, l’iniziativa avrà successo, riprenderemo in settembre seguendo un calendario di libri da scoprire suggeriti da una libraia appassionata, propositiva e un po’ incavolata con l’editoria che lascia spesso fuori chicche in favore di marchette e baratta la qualità per i follower. No, non è un dinosauro, una ragazza giovane e capace che cerca di cambiare le cose almeno nelle attività che può portare avanti. Felicissima di averla intercettata.

Scrittura e avvilimento

Bene, anzi male, è giunto il momento del post lagna, che comunque va letto sapendo che, sempre grazie alla psicoterapia santa subito, ora relativizzo molto di più e in realtà l’avvilimento del titolo è assai limitato. Insomma sto bene.

Dopo l’abbuffata scrittoria del lock down la mia capacità di mettermi di fronte alla pagina bianca con un’idea importante per un romanzo è precipitata. Le fasi rispetto a questa novità abbastanza sconvolgente sono state diverse: dal vuoto, al “passerà” al “ok, un’idea ce l’avrei, proviamo…no, non funziona” tutto condito dal fil rouge della nostalgia per il processo creativo bello, che quando si innesta è magia e rappresenta la parte migliore della scrittura, più della pubblicazione, più delle presentazioni in libreria, persino più dei momenti incredibili in cui sono stata prima nella classifica generale di Amazon a pagamento.

Qualcosa di vecchio, revisionato anche con l’aiuto di professionisti, era rimasto nelle mie cartelle, ho così cominciato a riproporlo. Nonostante la ricerca di editori appetibili e accessibili si era fatta sempre più difficile, e quelli a cui sottoporre le mie tre opere erano davvero pochi ci ho provato, ottenendo silenzi, rifiuti e addirittura cambi di rotta (prima sì poi no).

Nel complesso anche poca empatia nelle risposte, quando arrivano (a parte Todaro, che è un buon editore di Gialli se ne avete da piazzare).

Ma la cosa inaspettata è stata vedere sparire interlocutori con cui avevo collaborato (editori in primis ma non solo) con piacere ed efficacia in passato. Quel “ti faccio sapere” che diventa mai, quel dover sollecitare, quelle scuse poco credibili che rasentano una superficialità shoccante nel lavorare. Questo mi ha davvero fiaccata. E’ un’eccezione il rapporto con Plesio, purtroppo però delle tre mie opere, due in teoria sarebbero adatte alla linea editoriale, sono state comunque rifiutate per motivi molto validi di catalogo e non di qualità dei testi, questo in tempi brevi e con garbo, niente da dire.

Come si fa a mantenere la creatività già in calo per motivi forse fisiologici dopo tredici anni, laddove ci si scontra con un mondo del genere? Io non lo so proprio.

Si fa presto a dire “sei brava, non mollare!” A fronte di una platea di addetti ai lavori, anche discutibili, che chiedono soldi di continuo, editori minuscoli ai quali non voglio rivolgermi, i soliti senza un sito, con la mail su gmail e altri che, inutile girarci intorno, non mi vogliono.

In tutto questo la delusione è proprio verso le persone, non per una carriera al capolinea durante la quale sono rimasta una sorta di perenne esordiente/emergente. Perché nella mia vita le relazioni sono la cosa che più conta.

Per fortuna i romanzi esistenti mi danno delle soddisfazioni. Stay tuned, ve lo racconto molto presto, nel prossimo post.

Di La vita di chi resta di Matteo B. Bianchi (e un po’ anche di me)

Perché decidiamo di leggere un certo libro? Per la trama, per l’autore, per la copertina, per il titolo, io addirittura per la casa editrice. Molti perché si tratta di un titolo di successo, di cui in tanti stanno parlando. In effetti il nuovo romanzo di Matte B. Bianchi, libro del momento lo è, girano meme con le frasi, due amiche le hanno pubblicata nello stato di whatsApp senza aver letto il romanzo peraltro.

Eccole:

Non si guarisce.

Non si smette di soffrire.

Non ci si perdona.

Non ci si salva.

Si sceglie di.

Uscito il 31 gennaio, l’ho comprato il 1° febbraio per una serie di motivi curiosi.

Mi trovavo al Libraccio, dove volevo vendere “Crossroads” di Franzen (tradotto dalla sempre mitica Silvia Pareschi) che alla fine ho piantato lì. Ciao ciao Franzen, ti amavo ma se hai preso una botta in testa io non ti seguo, e mi cade l’occhio sulla pila dei libri nuovi nuovissimi scontati del 40%, misteri editoriali; c’è pure “La vita di chi resta” uscito solo 24 ore prima. 11 euro al posto di 18 sono un affare!

Ora, io di Matteo B. Bianchi ho letto e assai apprezzato “Maria accanto” e la sua eco è stata un faro quando scrivevo “Quanto basta per essere felici” volendo ricreare lo stesso pathos religioso ma non mistico, che ha reso credibilissima la sua storia. Ma non solo: in quel bel romanzo c’è uno svarione, l’autore ha infatti scambiato il centro commerciale Bicocca con il Bonola, che sta sotto casa mia. Così nel romanzo leggiamo che i protagonisti vanno al Bonola, che rimane aperto fino alle 23, al cinema e altre allegre cose impossibili da fare. Gli scrissi e lui mi rispose subito, gentilissimo, parecchio stupito, si era proprio confuso i due centri commerciali, e al Bonola no, non ci ha neppure mai messo piede.

Insomma mi è rimasta la convinzione che Matteo B. Bianchi abbia un’anima bella, e mi sono ritrovata a leggere “La vita di chi resta” in due sere. Fondamentalmente è un libro che mi ha fatto bene al cuore. La storia è nota: una ventina d’anni fa l’ex (ma ex da poco, si erano lasciati da tre mesi) di Matteo si è suicidato, scegliendo di impiccarsi nell’appartamento di Matteo dove avevano convissuto. Esiste dolore più grande? Esiste il modo di perdonarsi e andare aventi? Possiamo piantarla anche con la classifica del dolore?

Due i passaggi su cui i miei pensieri hanno scavato più in profondità: il fatto che in qualsiasi modo si perda qualcuno, un lutto porta sempre con sé sensi di colpa, quel “avrei potuto amarlo/capirlo di più.” Vivere un tempo migliore insieme a chi quel tempo in terra non l’ha più. Ebbene, nel mio percorso di psicoterapia, risolvere le mancanze con mio padre è una faccenda più faticosa rispetto all’infertilità. Oggi, alla seconda desensibilizzazione EMDR mentre stavamo rielaborando “io sulla bara un attimo prima che venga chiusa” alla domanda “quali sono i suoi pensieri?” avrei dovuto rispondere “voglio andare a casa”, non l’ho fatto. Oddio, forse mentire durante una seduta è una cazzata, però ho cercato di sganciarmi da quel pensiero e concentrarmi sulle sensazioni fisiche (è sempre richiesto, tipo se sto piangendo, se mi è venuta la nausea) e se – obiettivo dell’EMDR – stavo avvicinandomi maggiormente all’essere tranquilla riguardo quell’immagine precisa estrapolata dal ricordo.

La seconda suggestione da “La vita di chi resta” sono i tentacoli della disperazione che lusingano.

Il dolore è comodo, ci consente di non cambiare, di andare avanti senza in realtà procedere, di crogiolarci giustificando ogni nostra azione con quel baratro nel quale la vita ci ha gettati.

Superarlo è fatica.

Credo che ognuno troverà le proprie riflessioni a riguardo, io le sto facendo da giorni.

La struttura narrativa è notevole, indubbiamente Matteo B. Bianchi sa scrivere. Un evento fondamentale che cronologicamente avviene poco dopo la morte di S. viene raccontato solo alla fine. Questo espediente stilistico dà un buon ritmo e consente al lettore di concentrarsi sulla sofferenza. C’è altro nel quotidiano di Matteo? Sì, ma anche no, la perdita sta permeando tutto.

Tornando all’inizio del post, cioè quel “si sceglie di”, ecco nei miei pensieri vorrei smettere di giudicare chi invece non sceglie (la psicologa mi ha già detto due volte che sono un po’ troppo giudicante), e lascia che le situazioni vadano a rotoli, probabilmente non ce la fa, anche se secondo me si tira addosso un macigno molto più pesante che se tentasse di farcela.

Concludo mettendo in luce il potere banalmente salvifico della scrittura. Tra il fantastiliardo di cose la mia psicologa mi ha chiesto se in qualche modo fossi riuscita a trasformare la rabbia del fallimento adottivo e incanalarla in qualcosa; ecco io credo di averlo fatto molto ma molto bene con il romanzo “Le affinità affettive”.

Matteo B. Bianchi ha impiegato vent’anni a prendere quello smarrimento e decidere di salpare per una rotta intima, per approdare dall’altra parte del supplizio senza via di ritorno.

E io per questo gli dico grazie ancora una volta.