La Stazione Centrale di Milano illuminata col tricolore sulle note dell’Inno nazionale

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Come ai Mondiali di calcio, nelle parate, in tutte quelle manifestazioni annullate, le note che commuovono, le parole che dopo la prima strofa ricordiamo a stento, quel “Siam pronti alla morte” profetico che ci fa urlare “no, non sono pronto!” Non erano pronte le oltre 17 mila vittime italiane, a loro va il cordoglio di una nazione e questo momento di struggente poesia, tra le luci della Stazione e la musica.

Il brivido che mi percorre è un elettroshock, il segnale ancestrale di un coinvolgimento senza precedenti; fisso dritto la Stazione nei suoi occhi di finestroni, illuminata in questo modo per la prima volta in 90 anni, con l’Inno diffuso su tutta la piazza Duca D’Aosta.

“Dov’è la vittoria?”

“Dov’è? Dov’è?” Mi chiedo!

Fotografia di Paolo Marchesi, che ringrazio,  mentre il testo è un estratto di quello che ho scritto io per lui per l’evento.

Vi ricordo i miei racconti lunghi pubblicati di recente per Delos: L’ultima neve e La piccola scuola di cucina, i link per l’acquisto, come per tutti gli altri miei libri, li trovate lassù nella banda nera, nella relativa sezione.

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Milano in bianco e nero

Raccontare Milano in bianco e nero annulla le centinaia di sfumature delle sue ville liberty, dei fiori a primavera, del foliage autunnale, degli arancioni pavidi di certi tramonti e dello sfolgorante, quanto raro, cielo azzurro anice da mangiare al cucchiaio, eppure vale davvero la pena di farlo.

Milano in bianco e nero accentua le sue contraddizioni, esalta i contrasti e propone una narrazione di grande impatto emotivo, giocata sui toni del grigio, la tinta del suo asfalto, il tono del suo umore ma soltanto per chi non la conosce e non potrà mai farsi amare da lei.

Milano in bianco e nero offre una storia retrò, ci riporta indietro negli anni, quando – ma che bel tempo era – non erano tutti fotografi grazie a uno smart phone e toccava avere la pazienza dell’attesa per ammirare gli scatti sulla pellicola. C’è una raffinatezza unica nel bianco e nero, il Duomo appare ancora più gotico, le gargoyle si stagliano con maggior vigore spogliate dei colori che le circondano e le vetrate sembrano vestite a lutto. Il Castello assume una sembianza inaspettata, tutto parla un linguaggio rinnovato nel suo balzo all’indietro. Il bianco e nero chiede raccoglimento, non concede distrazioni per il giallo del tarassaco e il rosso dei papaveri nelle aiuole cittadine, non lascia che lo sguardo si soffermi sulle panchine verdi né su quelle rosse allestite in difesa dei diritti delle donne. Milano in bianco e nero cancella gli arcobaleni, ma non è mai banale e regala una realtà differente: si irradia in uno stile crepuscolare che ci fa diventare tutti poeti.

Milano così è malinconia, evoca silenzi che non conosce, urla discordanze e si dimostra coraggiosa privandosi della vivacità, non teme confronti col fucsia, il turchese, l’ocra e il verde acqua.

Milano in bianco e nero, per chi non c’è mai stato, propone una storia piena di domande. Le fontanelle chiamate “draghi verdi” dai milanesi, ora sono color piombo e il forestiero potrebbe immaginarle viola oppure blu. La fantasia acrobatica di chi la ammira nella sua essenzialità gioca a inventare possibilità, ma Milano in bianco e nero non ci sta, nessuno può sostituire i suoi colori, scambiare i dettagli e fare a modo suo. Milano in bianco e nero ha soltanto deciso di vestirsi di sobrietà per una volta, per tornare variopinta a piacimento del fotografo.00

Questo pezzo è stato scritto per Paolo Marchesi, il fotografo professionista con in quale collaboro da qualche mese, e, eccezionalmente, gli ho chiesto di poterlo pubblicare anche qui, oltre che nel suo sito in costruzione. Paolo è stato un sassolino da Dio, regalatomi da Barbara. Io, Barbara e Paolo siamo nati tutti e tre l’11 dicembre di anni diversi. Foto del “Drago verde” per il post di Gianni Mapelli, presidente del Circolo fotografico Trevisani, di cui è socio l’Orso, che ringrazio.

Alla scuola della cucina italiana

Si chiama Midday Kitchen ed è la favolosa opportunità di un pranzo di alta cucina a un prezzo contenuto, 18 euro, con primo, secondo, contorno, dolce, caffè, acqua e vino inclusi, ma non solo.

Lo chef  Alessandro Mastrogiacomo cucina infatti i piatti che si andranno a mangiare, in un open space semicircondato da un lungo tavolo per 15/20 commensali, raccontando le preparazione più lunghe, che non possono essere fatte al momento. Occorre prenotare e io ci sono stata di recente ben due volta. La prima giovedì 28 gennaio mi ci ha portato un’amica, sono rimasta talmente entusiasta che, uscita di lì, ho letto le proposte per le date successive e ho ho prenotato per lunedì 3 febbraio, perché avrebbero fatto la carbonara, uno dei piatti in assoluto preferiti dall’Orso. Casualmente lui sarebbe stato in ferie proprio quel giorno (finalmente un giorno di vacanza anche per lui!) e ci siamo tornati insieme.

Le ricette sono sempre molto elaborate, con una tecnica pazzesca, per esempio si parla di temperatura precisa (62° per non so più cosa), lo chef usa utensili sofisticati, e i clienti hanno sulla tovaglia un fascicolo con le ricette precise e lo spazio per gli appunti. Si possono fare domande, o chiedere di ripetere qualche passaggio che non si è capito.

E’ tutto così “dal vivo” che anche per me, che non ho certo l’hobby della cucina, è stata una doppia esperienza davvero coinvolgente. In primis ho mangiato da Dio entrambe le volte, poi comunque è stato bello sentire un giovane tanto appassionato e capace di trasmettere la sua arte con simpatia. Quando sono andata la seconda volta Alessandro mi ha riconosciuta ed era tutto contento che fossi di  nuovo lì nel giro di così poco tempo.

Chiaramente non mi fermo qui. Compatibilmente col mio part time, fino alla fine di marzo le date in cui non lavoro sono tutte sold out, voglio partecipare ancora.

Per chi invece ama cucinare è veramente un’occasione speciale che vale la pena di prendere in considerazione anche se non si abita a Milano; sono infatti davvero tanti i trucchi che, illustrando i procedimenti, Alessandro svela: per la crostata la pasta frolla va lasciata riposare 12 ore, negli spaghetti alla carbonara il pecorino deve essere aggiunto solo quando l’uovo è cotto, la pelle di tutti i pesci e commestibile, sono alcuni di quelli che ricordo.

Il piatto che ho apprezzato di più? Sulla carta non l’avrei mai detto, ma è stato la guancia di maiale alla birra e rape glassate al miele. La cottura del maiale dure 4 ore ma vi garantisco che si scioglieva in bocca e al primo boccone devo aver fatto qualche verso orgasmico.

P_20200203_134818  Nella foto Alessandro guarnisce la crostata al limone con la meringa italiana.

Un compleanno in anticipo, non si dovrebbe ma talvolta si fa

E così, io e Barbara ci siamo regalate un compleanno, ne condividiamo la data, in anticipo girando in una Milano soleggiata e splendida il giorno di S. Ambrogio. Grazie di sicuro a lei che è arrivata da Padova proprio per trascorrere qualche ora, orari del treno alla mano, esattamente 6 e mezza, con me.

A volte la vita raggiunge picchi di rara perfezione e il 7 dicembre è stato proprio così.

Sono andata a prenderla al gate, che adesso in Stazione fanno i fighi con sti nomi, e lì l’ho risalutata al momento della partenza, cariche entrambe di acquisti e luccichii negli occhi.

Abbiamo evitato il centro, preferendo un giro alternativo, dopo una colazione in uno dei simpatici bar che fortunatamente dopo la ristrutturazione ora si trovano in stazione. Quindi è stato metrò verde, metro lilla fermata Tre Torri, il cuore di City life che ha incantato Barbara con i suoi grattacieli e in particolare due negozi dove si è persa la nozione del tempo. Pranzo nel delizioso bistrot Feltrinelli Red, dove si è circondati da libri e dove, tu pensa il paradosso, nonostante la folla del centro commerciale c’erano posti liberi perchè appunto l’ambiente libresco non attira, e si riversavano tutti su altri ristorantini. Abbiamo mangiato molto bene e continuato a chiacchierare. Da lì a piedi fino al Garabombo, il che ha significato attraversare gli incantevoli giardini Giulio Cesare con la sua fontana

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per poi percorrere qualche via dello shopping e presentantare Mustafà, il mio spacciatore di libri dell’editore Terre di Mezzo a Barbara. Tengo molto a questa foto, perchè per me Mustafà e più Natale del panettone. Qualche giorno fa l’hanno intervistato al TG Rai 3 Nazionale.

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Ancora qualche centinaia di metri, i 10 mila passi ormai li abbiamo tutti nelle scarpe e nelle gambe, e giù alla metropolitana rossa, per una fermata, cambio, verde, e di nuovo in stazione. Dove c’è il tempo per un ristoro e per cercare di contenere quel raccontarsi fuso in un’affinità per cui è bello aprirsi, confidarsi, confrontarsi un po’ su tutto.

Milano è stata all’altezza di un tale evento, l’incontro di due anime che dopodomani compiono gli anni e da tempo hanno decisi di volersi bene, l’un l’altra, ma anche a se stesse.

I colori di Natale

Non solo i super classici oro, rosso e verde, ma anche tanto azzurro ghiaccio e poi una profusione di colori in libertà che mettono allegria e fanno festa uscendo dagli schemi.

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La vetrina di Marchesi in Galleria, pasticceria storica con diversi negozi a Milano, attira gli sguardi di tutti, tocca aspettare un po’ per poter fare una foto senza che ci sia nessuno davanti. Che spettacolo meraviglioso queste torte e il trenino con i cioccolatini, vero? Certo poi i prezzi vanno di pari passo eh, ma per uno sfizio una confezione di qualcosa si può fare. Io adoro le gelatine di frutta e le praline. Se volete sbirciare ecco qua, cliccate.

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Questa carta da regalo coloratissima mi piace anche molto, ho impacchettato i doni per tre ragazzini, ma non la vedo male neppure per gli adulti. Cechiamo di goderci il momento, ovunque mi giro vedo amici alle prese con problemi di varia natura, eppure vorrei che chiunque potesse comunque gioire per l’atmosfera tipica dell’Avvento e delle feste. Questo post è solo una briciola, ma il suo intento è proprio questo: distrarsi un attimo, io per prima, e scaldarsi il cuore.

Vi abbraccio.

Il vecchio Luna Park delle Varesine (un tuffo al cuore per i milanesi)

C’è stato un tempo in cui mamma e zia si frequentavano da buone cognate, soprattutto per merito mio. Seppur diversissime non si detestavano, anche se, a dirla tutta zia Sandra Gisella non la detesta manco adesso.

Pochi mesi prima della separazione le due donne mi portarono al Luna Park delle Varesine, una roba malconcia che si trovava dove ora sorge uno dei quartieri più lussuosi della nuova Milano; è stato lì tra il 1973 e il 1998 e molte volte in seguito ci sono tornata con gli amici, da ragazza, ma il vero ricordo magico fu quel pomeriggio di ottobre, quando, in un giorno intorno al mio compleanno, salii il traballante scalone di metallo che conduceva alle giostre con mamma e zia.

Entrando, subito a sinistra, credo, ma potrebbe anche essere destra, c’era uno scivolo, che nella mia dimensione di bimba mi parve lunghissimo e, tornandoci realizzai quanto fosse in realtà breve quel tobogare verso il basso. La casa a forma di botte, con l’insegna “L’allegra osteria” mi ha sempre incuriosito, ma non ci ho mai messo piede ed è rimasto quindi un luogo del mistero. Sulla Nave pirata che oscillava più in là, ci sarei salita solo dieci anni più tardi, mi terrorizzava solo a guadarla dal basso, ma ricordo che Gisella mi affidò alle mani di zia Sandra e salì a farsi un giro, seduta nei posti più periferici, quelli che garantivano una maggiore inclinazione, un vero terrore! Scese di lì bianca come un grembiule di scuola ma non volle ammettere di avere lo stomaco in fondo ai piedi. La ruota panoramica non era di quelle con le postazioni che vanno a testa in giù: consentiva quindi solo un giro per osservare Milano dal cielo, si vedeva persino la guglia più alta del Duomo e, assieme allo zucchero filato, fu l’attrazione destinata a scatenarmi i gridolini di gioia più acuti. Niente ottovolante, ma doppio giro nel “Castello delle streghe” con i vagoncini che sfilavano su rotaie incontro a fantasmi e scheletri, e una lunga tappa nel labirinto di specchi, dove mi persi letteralmente prendendo numerose capocciate in cerca del varco giusto per uscire; avevo insistito per entrarci da sola e grazie alla mia già notevole altezza avevo ingannato il proprietario circa la mia età, mamma e zia complici di quello che doveva essere il mio regalo di compleanno speciale. E fu il giostraio a recuperarmi e a mettermi sul sentiero verso l’uscita, dove mamma e zia erano pronte ad accogliermi, come se fossi ricomparsa dopo un decennio trascorso chissà dove.

“Carlotta, ti sei spaventata?” Mi chiesero. Ma io non avevo avuto affatto paura, mi ero divertita a guardare il mondo dai vetri, protetta e felice di girare là dentro, dove sarei rimasta volentieri ancora a lungo. E poi le palline da ping pong da gettare nelle ampolle dei pesci rossi, e gli anelli da tirare attorno al collo dei cigni di plastica, in entrambe le situazioni dimostrai una mira pessima, ma zia Sandra fu formidabile, agganciò un numero interessante di cigni al punto di vincere un enorme cane di peluche di una razza immaginaria con orecchie sproporzionate, che mi mise tra le braccia, quasi soffocandomi. Sta ancora lì, spelacchiato e ciccione, pure le orecchie non si sono accorciate nonostante gli assalti impietosi del tempo, a memoria di un giorno perfetto.

E poi fu il momento della frittellona unta. Gisella, non ancora vittima del biologico, del sano, dell’ecologico, del naturale, dell’integrale e compagnia cantante, si affrettò a battere zia sul tempo nell’estrazione del portafoglio e subito dopo eravamo lì a leccare zucchero e a dire quanto mai fosse buona quella roba lì, che ci scrocchiava in bocca, che oggi a solo sentirla nominare mia madre corre dall’angiologo. Il Luna park delle Varesine è nato quasi per caso su un terrapieno abbandonato delle ferrovie, grazie a un progetto mai decollato che ha reso il terreno libero con i giostrai lesti che lo occuparono con i loro baracconi, e non furono mai fatti sgomberare. E ancora più veloce fu Gisella nel buttare alle ortiche il rapporto con sua cognata e i Bamberga tutti quando il suo matrimonio finì. Eppure ho la certezza che quel giorno insieme a zia se la spassò da matti e se chiudo gli occhi ancora le rivedo strette strette sulla stessa automobilina degli autoscontri, io schiacciata nel mezzo, in barba a ogni regola di buon senso, andare addosso con foga a chiunque capitasse loro a tiro, infilare un altro gettone nella fessura mentre la palla stroboscopica vorticava sopra le loro teste, con la messa in piega perfetta.

Così, se oggi Le Varesine, come il parco dei divertimenti veniva chiamato affettuosamente dai milanesi, appare anacronistico oltre che defunto, è lo stesso anche per l’amicizia, perché fu tale, tra Gisella e Sandra. E questo mi pare davvero molto triste.

La Mostra dei Poster

Carolina e Giorgio sono andati a convivere da poco, la loro quotidianità ha preso la forma dell’entusiasmo, la casa odora di nuovo e i piccoli incidenti domestici vengono sempre affrontati con allegria, così come l’economia talvolta traballante.

“Quando pensi che avremo i soldi per quel meraviglioso aspirapolvere senza filo?”

Chiede Carolina.

Giorgio non le risponde, pensa che forse per Natale 2021, ma è un po’ troppo in là nel tempo e non vuole deluderla, troverà di sicuro qualcosa che costi meno da metterle sotto l’albero assieme ai suoi biscotti preferiti a forma di renna.

“Anche sto mese niente fine settimana fuori.” Esclama Giorgio guardando il calendario su cellulare: non se ne fa un cruccio, Milano è spettacolare e c’è una nuova pizzeria da provare, prenoterà per il sabato successivo.

La domenica sera li avvolge nella tipica malinconia da fine del weekend. Carolina esce dalla doccia, si strofina i capelli con l’asciugamano e sorride alla vista dell’aperitivo che Giorgio ha improvvisato in quell’unica stanza che unisce sala e cucina, afferra una patatina dalla ciotola e lancia uno sguardo al prosecco: ne aveva proprio una gran voglia, Giorgio sa sempre interpretare i suoi pensieri. Torna in bagno e quando riappare si accomoda sul divano accanto a lui, le bollicine saltano sul palato. Dà un bacio a Giorgio su una tempia.

“Giorgio, adesso facciamo una lista delle priorità. Cosa ne dici di quei muri spogli? Non è ora di comprare qualcosa?”

“I quadri non sono proprio in cima all’elenco. Monet tra l’altro è un po’ fuori budget.”

“Che scemo sei!”

In effetti Giorgio non ha torto, Carolina ha una nota passione per gli impressionisti e ha più volte sottolineato come ogni altro quadro non riesca mai a piacerle, per cui appendere qualcosa alle pareti è un’impresa.

“Si potrebbe pensare a delle foto, no?”

“Foto? Sì, magari, però non fatte da noi, eh.” Così dicendo Giorgio fa scorrere la galleria dello smart phone, non ha mai avuto una macchina fotografica se non da ragazzino quando lanciarono sul mercato delle scatolette usa e getta. Nell’epoca in cui tutti fotografano la qualità è al ribasso, l’idea di essere circondato dai suoi scatti fuori fuoco e spesso sbilenchi non lo esalta per niente. Ama quell’appartamento, non avrebbe alcun senso rovinarlo così.

“Possiamo cercare delle foto di qualche professionista. Una mia collega mi ha parlato di un negozio in corso Buenos Aires, un posto enorme, con oltre 1500 poster, manifesti d’arte, grafiche d’autore.”

“Ma va? Come si chiama?”

“La Mostra del Poster se non sbaglio.”

“Aspetta lo cerco.” Giorgio smanetta sul cellulare “Trovato, ah in galleria Buenos Aires, interessante, c’è un sacco di roba. Ci facciamo un giro sabato prossimo e poi pizza, cosa ne dici?”

“Fan-tas-ti-co!”

“Tocca brindare, versami ancora un goccio di vino!”

Due settimane più tardi.

“Sono nervosa, Maddalena e Raffaele sono due criticoni, avranno di sicuro qualcosa da ridire sulla casa, o sulla mia cucina, o su entrambe.”

“Dai, tesoro, stai tranquilla, la tua parmigiana è spettacolare e la casa, be’ a parte che deve piacere a noi, ma cos’ha che non va? Comunque sono due care persone, un po’ milanesi imbruttiti, lo riconosco, ma brave.”

Il campanello interrompe le paranoie di Carolina. In un attimo lo sguardo di Raffaele percorre ogni angolo dell’appartamento, mentre sua moglie consegna una torta fatta con le sue mani, perché lei è una gran cuoca.

“Ehi, ma queste?” Chiede Raffaele che si sofferma a osservare la parete dietro il divano, con due stampe di foto di Milano.

“Ti piacciono?”

Dai fornelli Carolina allunga le orecchie, curiosa.

“Ma sono bellissime. Non so chi le abbia fatte, ma è stato capace di catturare l’atmosfera dark di Milano. Non saprei quale scegliere, lo skyline è davvero molto suggestivo, ma anche questa delle tre torri di City Life mi piace parecchio. Dove le hai prese?

“Alla Mostra dei Poster, lui si chiama Paolo Marchesi, un fotografo pazzesco, ha sto mood un po’… mah, crepuscolare direi. Cattura il buio e lo restituisce dopo averlo elaborato in queste immagini.”

“Mostra dei Poster, hai detto? Me lo segno subito, sai in studio ho quella vecchia crosta dipinta da mio suocero, convincerò Maddalena a sostituirla, oggettivamente è davvero orribile.”

I due amici ridono, dandosi dei piccoli pugni, retaggio di lotte di quando erano ragazzini.

“A tavolaaaa!” Carolina batte le mani e invita gli ospiti a prendere posto.

“Parmigiana?” Raffaele guarda con affetto la grossa porzione che Carolina gli ha appena servito. “Il mio piatto preferito!”

Un boccone ed esclama:

“Ma è squisita!”

Carolina finalmente si rilassa, Giorgio le batte una mano sulla coscia sotto la tovaglia e da lì in poi la serata è in discesa.

A volte con le persone si può sbagliare nei giudizi, mai a fare acquisti alla Mostra dei Poster. 

Trovate le foto di Paolo Marchesi, fotografo professionista, cliccando sul suo nome. Io ho cominciato una fantastica collaborazione con lui, un po’ da ghost (non proprio ghost visto che ve lo dico) un po’ a carte scoperte con diversi progetti per il futuro e ringrazio pubblicamente Barbara Businaro, che mi ha passato il contatto, presto potrò farlo di persona e le devo quantomeno un pranzo. La cosa straordinaria è che tutti e tre: Barbara, Paolo e la sottoscritta siamo nati l’11 dicembre (di anni differenti).   

Giornate con tante cose + Piffiamo insieme # 1 Inizio della lettura

Ci sono un sacco di cose, alcune rimarranno soltanto accennate in questo post, mentre ad altre verrà dato maggiore spazio più avanti.

Sabato sera è cominciata la stagione teatrale al S. Babila, dove abbiamo l’abbonamento in prima fila e ci siamo ben gustati Due figlie e tre valigie la classica commedia degli equivoci, molto simpatica. Domenica di relax, so che i giorni a venire saranno – e sono stati – impegnativi e me la prendo comoda, l’Orso lavora da casa, il pc aziendale è una sciagura vera. Lunedì trasferimento dell’ufficio, meno traumatico del previsto, fino a quando scopro, ieri pomeriggio dopo essermi sistemata alla nuova postazione, che la parte di archivio rimasta di là (abbiamo davvero molti documenti ancora cartecei) ce la dobbiamo smazzare senza aiuto di manovalanza (mediamente danno un paio di persone in supporto) e, contrariamente a quanto ci era stato detto cioè di fare pure con calma, no, tocca sbrigarsi. Sempre lunedì, dopo il lavoro, di nuovo sotto una pioggia battente e un freddo che mi gela la mano che tiene l’ombrello, approdo allo Spazio Vigoni per l’incontro riservato alle blogger fortunelle per il lancio di Lettere d’amore per uomini imperfetti vi linko la precedente presentazione pubblica perchè racconta bene il libro.

Martedì comincia con il fantastico post di Elena che ringrazio di cuore. Rimango in ufficio fino alle 19.30, due ore di straordinario, per un totale di 10 trascorse con i numeri e le cose fiscali. Se non fosse per i colleghi, che poveraccci, combattono duramente con un nuovo programma informatico assurdo che, oltretutto ha subito un reale colpo di grazia col trasloco del giorno prima, starei anche bene. Ragiono su quanto un ambiente più caldo, luminoso, spazioso, in mezzo agli altri e non in una dependance divisa da un tunnel ghiacciato d’inverno e bollente in estate, da attraversare per qualsiasi cosa, oltretutto con una pesante porta che si apre col badge, possa fare la differenza. Lavoro da oltre 31 anni e questo è in assoluto il migliore ufficio dove sia mai stata, il precedente, durato 13 mesi il peggiore e l’ho davvero detestato.

Io e l’Orso rincasiamo per le 20, la mattina avevo scongelato zuppa valtellinese (un mix di legumi secchi che vanno fatti cuocere per 85 ore) e arrosto di lonza cucinati nel part time, per cui la cena va solo scaldata. Dopo aver visto Guess my age accendo il Kindle e con tempismo perfetto inizio la lettura condivisa.

Sono un po’ stanca, e, lo confesso, le prime pagine di Pif non riescono a convincermi. Il motivo è che non mi prende la storia e ahimè neppure lo stile che trovo piuttosto piatto. Leggo prologo, capitoli 1 e 2, l’e-reader mi avvisa che ho completato la lettura del 10% del romanzo – che non è lunghissimo – e io sono quasi infastidita per la lungaggine della faccenda “pasticceria, cannoli, ricotta per riempire i dolci” per la quale il protagonista ha un’ossessione patologica che, raccontata in questo modo, non mi strappa simpatia, ma solo “sì, ma fatti curare, eh!”

Prima delle 23 vado a dormire, sperando di non essermi fatta odiare dagli amici con questa scelta che, al momento, è deludente.

In mezzo a queste giornate ricevo diversi inviti per BookCity ormai imminente, e uno da parte di Chico Mendes a un aperitivo, proprio nel locale dove ho festeggiato i 50 anni, per diventare ambasciatrice della sua filosofia, in particolare per il Garabombo.

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Non so cosa riuscirò a fare, anche se tutto è estremamente bello e interessante, intanto metto uno dei Banner che mi hanno mandato.

Nel frattempo c’è stato anche il Pisa Book Festival e avrei voluto parlarvene per tempo, mi fustigherei, davvero. GoWare ha festeggiato alla grandissima i 10 anni di attività, è stata fondata nel 2009, con 900 titoli in catalogo, di cui 100 novità uscite nel 2019, con uno stand. Ebbene sì, per la prima volta un editore digitale partecipa a una fiera di editoria tradizionale, stampando le copie dei propri libri.

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Su quel banco, tra le opere di narrativa, c’era anche il mio ultimo romanzo; avendo davvero tante pubblicazioni e uno spazio ridotto, in goWare hanno pensato di portare i libri a rotazione, proponendo ogni giorno testi diversi. La squadra di goWare mi manca da morire, è vero, sono ancora una loro autrice, ma sapere che non c’è un futuro continua a rattristarmi, ancora di più ora, quando vedo come sono stati capaci di ingranare una nuova marcia e andare avanti, nonostante la scomparsa di Tiziana.

Concludo questo post con la promessa di tornare presto e un abbraccio.

I tre giorni dei Santi (con Garabombo)

Sabato 2 novembre ha aperto il mitico Garabombo. Essendo socia ho ricevuto la mail, ma già l’avevo immaginato. Così, incuranti della pioggia, domenica (oggi) abbiamo dato il via al giro di perlustrazione in vista del Natale: Garabombo e pranzo al Panino Giusto, come da tradizione ed è stata una piccola festa.

Ve lo racconto con qualche immagine presa dalla mail. gara1

Eh sì, c’è davvero un po’ di tutto, in un’ottica etica e sostenibile a cui tutti dovremmo tendere: cooperative sociali, riqualificazione di territori, laboratori carcerari, artigianato dal mondo. Ma anche libri di editori che scelgono di darne alcune copie.

gara3gara2L’eno-gastronomia la fa da padrona, certo si tratta di spendere qualche euro in più, perchè la qualità si paga e anche i lavoratori che ricevono sempre il giusto compenso.

Non c’è la foto dell’immensa distesa di cioccolato, perfino delle piccole tavolette a 2.50 euro fatte come un biglietto d’auguri, perfette per un micro pensierino massivo, per esempio ai colleghi, o ai compagni di palestra.

Ma io ho un debole per l’abbigliamento, e qualche capo finisce sempre nel mio guardaroba. Ogni anno propongono articoli nuovi, delle stesse linee, come  bellissime magliette Made in Jail.

gara4Borse, ceramiche, oggetti per la casa, la famosa PooPooo Paper di cui vi ho già parlato due anni fa, giocattoli e appunto tanti, tantissimi libri, completano la loro proposta.

Diciamo che Garabombo, come il Salone del libro di Torino, rappresenta una piccola certezze nel caos della vita, felicità garantita che si rinnova, rifugio dal quotidiano che a volte preoccupa o non va come si vorrebbe. Scampolo di fuga, o, semplicemente, momento bello da vivere, prevalentemente con l’Orso, ma aperto alla condivisione, nello spirito autentico di Chico Mendes, di cui sono socia e di cui questo mercatone è una delle tante espressioni.

Questi tre giorni sono stati di relax, un po’ per il meteo che ci ha fatto decidere di non fare manco una gitarella, un po’ perchè eravamo già stati via tre giorni il weekend scorso. Personalmente ero in part time e non ho guadagnato giorni in più, ma Emanuele sì, e la condivisione maggiore è stata quella del divano. I primi freddi (neanche troppo), le prime caldarroste passeggiando (15 castagne contate = 5 euro grrrrr, però erano buone e ben cotte), l’entrata ufficiale nella stagione buia, la pigrizia diffusa, il classico arrosto che mi riesce sempre bene, il tè caldo nelle mani… siamo stati benissimo.

Toccherà aspettare Natale per il prossimo giro, ma possiamo scommetterci che arriverà in un attimo (al Garabombo intanto abbiamo già addocchiato regali quasi per tutti).

Colori autunnali in un weekend milanese

Premessa: scorrete fino in fondo, perchè le immagini più avanti occupano un po’ di spazio.

Sabato 12 ottobre. Parco di Trenno, dietro casa mia, dopo un piacevolissimo pranzo con un’amica. Obiettivo: scacciare la fatica di una settimana complessa e recuperare energia.

Le foto sono eccezionalmente mie, l’Orso non c’era.

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Ancora una decina di giorni e il foliage raggiungerà la sua sfolgorante perfezione cromatica, che con qualche altro elemento, rende l’autunno la mia stagione preferita. Ogni anno, quando si rinnova l’incanto di fronte ai colori degli alberi, mi ricordo perchè lo amo tanto, e l’inconscio, già ai primi di settembre, mitiga la malinconia per la fine dell’estate, sapendo che tutto questo è dietro l’angolo e non può non arrivare.

Domenica 13 ottobre. Via Dante, la via dello shopping e dei ristorantini/bar che collega il Castello al Duomo. Obiettivo: provare un paio di scarpe intraviste in settimana, che mi servono per la Cresima di sabato 19, problema, ho comprato un abito blu in saldo, felicissima per lo sconto del 50% per poi rendermi conto di non avere le scarpe giuste, il blu nelle calzature in inverno è difficile trovarlo, è considerato un colore primaverile, in più io non indosso scarpe di plastica, e controllo sempre per bene i simbolini. Problema N° 2, non ho voglia di uscire e mi sento una cretina ad avere risparmiato sul vestito per poi dover spendere per le scarpe. Abbandono il divano, spero di fare in fretta e da Aldo scopro che le scarpe che avevo visto proprio non mi stanno: 36 largo, 35 stretto, 36 con soletta non mi convince. Un altro paio che mi viene proposto mi calza comodo, è elegante ma troppo aperto, se dovesse essere brutto tempo? E poi una scarpa così proprio non mi serve! Ringrazio e saluto. Alla fine da Bata, poco distante, decido di puntare su uno stivaletto 6999306-2

miracolosamente blu, è una sfumatura quasi jeansata, lo vedete nella foto presa dal sito e quando da Carpisa do un’occhiata alle borse e le metto vicine, il blu classico fa schifo, ergo non posso utilizzare la borsa che mi avrebbe prestato mia madre. Una cliente mi dà una mano a decidere (valutiamo insieme che spendere dei soldi per una borsa che non si abbina è una cretinata, un conto sarebbe avercela già, e anche quella con un po’ di camoscio che richiama lo stivaletto è troppo un altro blu). Mi concentro: vestito blu a microscopici disegni stile cravatta panna e marrone (avrei fatto la foto ma non rende l’idea, sembra un vestito da vecchia anni ’70 e non l’ho trovato in rete), sopra cosa metto? Il mio fantastico ever green cappotto antracite? E se esce una giornata di sole? Il montgomery fucsia? Blu, fucsia, a sto punto non possiamo aggiungere altre tinte. E se comprassi una borsa fucsia… azzardo, perchè il montogomery sta a casa, nel cellulare ho una foto, ma non è che mi possa fidare tanto della sfumatura. Ho un mese per cambiarla, al massimo torno (c’ho proprio tempo/voglia di tornare entro venerdì!) e la cambio con quella grigia chiara e la regalo per Natale a qualcuno. Peccato che sarei di nuovo senza borsa, eh. La prendo.

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Tracolla corta a catena, sarà fighissima anche d’estate, non so bene con cosa.

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Le foto nei siti hanno tutto sto bianco intorno che nel post non sta molto bene, ma eccola.

Morale, per gli accessori ho speso più del doppio del vestito in saldo (cercando di risparmiare), ma una pochette fucsia è una botta all’autostima e al buonumore. Quando torno a casa tocca verificare l’abbinamento borsa montgomery che non è perfettissimo, ma può andare e lo faccio andare.

E questo in linea di massima è stato il mio weekend pieno di colori.