Buongiorno,
così, è successo. Siamo a un anno dal caso Codogno e tutti più e meno credo stiano ripensando a quel momento e rivivendo l’incedere dei giorni successivi. Ognuno col proprio vissuto personale e collettivo. Era venerdì e io avevo appena terminato la pratica del mio cliente preferito: un’azienda che fa bellissimi fiocchi e nastri per pacchetti regalo e si trova sì, a Codogno. Avevamo ironizzato un po’ coi colleghi sul fatto che avessi toccato la busta proveniente proprio da lì e tanti saluti. Per il resto oggi non mi va di ripercorrere ogni tappa di questi 365 giorni, dei quali il primo anniversario non significa affatto esserne fuori.
Gli ultimi venti giorni sono stati molto duri, al solito c’è di peggio bla bla bla ma anche molto di meglio e qualsiasi evento che ci tolga da binari non dico tranquilli (nulla lo è davvero ora) adesso viene percepito amplificato dalla stanchezza stratificata. Tuttavia ho scelto di non raccontare gli ultimi eventi qui nel blog; me li sono gettati alle spalle, risolvendo ogni spigolo con pazienza (poca), sbroccamenti (qb come nelle ricette), intraprendenza (tantissima), ansia (parecchia), fortuna (c’è stata e ho parecchio apprezzato) e inciampi (troppi e dovuti a superficialità altrui) quindi desidero passare oltre.
Nel mentre ho ricevuto il cartaceo di Sono una donna non sono (solo) una sarta. Ci sono due problemi davvero microscopici anche dovuti al mio “visto si stampi” un po’ frettoloso, ma nel complesso sono molto contenta. C’è da dire che quando si scrive tanto poi il volume è bello cicciotto e dà proprio soddisfazione. E’ stato un piacere anche parlarne con la mia vecchia squadra in Thèsis, dove il progetto era nato. Così, anche se poi me ne sono andata
Io mi dico è stato meglio lasciarci che non essersi mai incontrati
citazione per De André addicted
anzi, molto più che bello, mi hanno scritto mail splendide, piene d’affetto, congratulazioni e incoraggiamento. Non le ho lette come parole di circostanza, non ne vedrei lo scopo, ma solo di onestà intellettuale e consapevolezza che i percorsi della vita – e quelli editoriali sono emblematici – sono spesso pieni di buche e ci si possa trovare dai lati opposti senza essere rivali.
Tutto sommato l’entusiasmo per l’uscita di questo romance, che è stato accolto con un alto indice di gradimento dai lettori, è stato penalizzato dal periodo che stavo attraversando, peccato per questa rognosa concomitanza. In più nell’ordine avevo incluso anche una copia di Un cuore in Bretagna e sfogliandolo ho visto subito, con enorme disappunto, che manca ancora la numerazione delle pagine! Problema da me sollevato tre mesi fa che mi era stato garantito risolto, dandone la colpa al povero tipografo, ma se questa stampa di Amazon è uguale, direi che il colpevole è altrove. Ovviamente avevo già considerato l’esperienza conclusa con un segno negativo davanti, il libro è splendido nel contenuto, perché la storia lo è, l’editing era stato buono, ma c’era poco da sistemare (è anche un romanzo piuttosto breve) per il resto mi sono scontrata con una serie di comportamenti e azioni pessime dal punto di vista professionale e umano.
In tutto questo ho saputo, ma era ovvio, che il Salone del libro di Torino non ci sarà, perlomeno nella consueta data di maggio, forse in autunno, ma non si può andare troppo in là, altrimenti si scontrerebbe con la Fiera di Roma, Più libri più liberi. Tocca comunque fare i conti con un piano vaccinale a rilento al di là dei proclami. Quando tempo fa ho sentito uno dei tanti esperti affermare che in fondo i virus durano sempre due anni, poi in qualche modo tra vaccini, cure e involuzione naturale, si debellano, mi era parso un periodo lunghissimo, ma alla fine sarà così. Nonostante con le nuove disposizioni le librerie, dopo il lock down di marzo, ben più rigido di qualsiasi zona rossa successiva, siano rimaste aperte, e in alcuni casi si è visto anche un incremento della lettura, il settore è in forte sofferenza. Ho notizie di prima mano di cifre perse esorbitanti proprio per le fiere e gli eventi in presenza annullati. Ora il panorama è quello di una marea di pubblicazioni, una bulimia che forse non trova una vera ragione neppure nel voler recuperare uscite e incassi persi. Esce un libro – parlo di autori noti e/o case editrici big che vogliono pompare qualche esordio – e si scatena il “oddio, devo leggerlo! una bolla che esplode in due settimane e poi non se ne parla proprio più. Titoli cannibalizzati e ciò che avviene nelle retrovie è demandato all’iniziativa di case editrici virtuose, quando va bene, o del singolo autore quando ci sono troppe falle, di soldi e di metodo.
E’ tutto molto faticoso.