Letture e felicità di maggio

Maggio, più spesso maggembre, come è stato rinominato, è stato un gioco di ruolo per cui ogni traguardo di vera bellezza toccava conquistarselo tra inciampi e imprevisti che poi, oltre alla fatica, un po’ condizionavano l’arrivo, nel senso che quando finalmente si era lì, al momento bello, era un filino meno bello. Di continuo.

Qualche esempio: del Salone ho già ampiamente detto, ed è eloquente. Cena rimpatriata ex colleghi e nello stesso locale troviamo la mega tavolata dirigenziale dell’azienda che li ha bellamente licenziati. Il saggio di magia dell’Orso e trac lo sciopero dei mezzi per cui mi è toccato andare con lui alle prove due ore prima che ho trascorso in un bar, altrimenti non sapevo come raggiungere il teatro dall’altra parte di Milano (e ho scoperto che quando c’è sciopero non si possono prenotare i taxi in anticipo, cosa che altrimenti avrei fatto). In tutto questo Emanuele impestato di raffreddore, mal di gola e affini come un sacco di gente visti gli sbalzi di temperatura, torna a casa dallo spettacolo che è seguito dopo il saggio con 37.8 di febbre e il giorno dopo avevamo il treno alle 7.45 per l’agognatissimo weekend a Padova. Siamo andati ugualmente, lui sfebbrato ma intasato, e il fine settimana all’ombra del Santo con Barbara Webnauta e un gruppo di amici piuttosto variegato (che metterli insieme avrebbe potuto essere un flop tremendo invece no) è stato meraviglioso. Su questo magari ci torniamo.

Quindi alla fine, tirando le somme, con gli aggiustamenti del caso, mi sento di segnare sul libretto delle felicità solo 5 avvenimenti. Pochissimi! Ma veniamo ai libri.

  1. La casa di marzapane Jennifer Egan Traduzione Gianni Pannofino voto 9
  2. Acque profonde Patricia Highsmith Traduzione Patrizia Caramella voto 9 ½
  3. I ragazzi dei cavalli Johan Ehn Traduzione Samantha K. Milton Knowles voto 9
  4. I giorni del mare Pierre Adrian Traduzione Maria Sole Iommi voto 7

In tutto questo circo di pioggia, non dimentichiamo che maggio era partito con l’annullamento della vacanzina a Cesenatico causa intervento mamma Orsa (che col senno di poi il tempo era brutto e io per niente in forma quindi meglio non esserci andati), non sono stata particolarmente rapida nella lettura, tutt’altro, ma almeno tre sono stati davvero romanzi pieni di bellezza e consolazione. Del primo già ho detto.

Avevo poi voglia di leggere qualcosa della Highsmith mia ossessione dei 25/30 anni, genio assoluto del thriller psicologico, del noir, dei ribaltoni emotivi sul filo del dubbio. Victor e Melinda, una coppia male assortita. Lui rasenta la perfezione, lei è un’infantile egocentrica e capricciosa, anaffettiva con la figlia, dedita al tradimento seriale del marito, che mette in ridicolo alle feste, facendo – l’ho detestata e quindi qui mi sfogo – la troietta con la preda di turno che porta persino in casa. Victor sembra accettare passivamente ogni spasimante, fino a quando rivela che no, non è il caso di spaccare la faccia agli amanti, lui più drasticamente li uccide. E infatti che fine ha fatto l’ultimo bellimbusto che girava con Melinda fino a poco tempo prima? Top suspense, dialoghi pazzeschi per l’acume di Victor, consigliatissimo.

Ad aprile ero stata alla presentazione de I ragazzi del cavalli, serata molto gradevole. Ero andata perché l’autore sarebbe stato intervistato da Giacomo Cardaci, scrittore a sua volta, di cui anni fa apprezzai molto Zucchero e catrame, attivista LGBTQ nonché uno dei pochi scrittori di un certo successo che mi segue su Instagram e ogni tanto mi commenta pure. Oltre all’autore svedese era presente anche la traduttrice. I ragazzi dei cavalli sono Sasha e Janek che si conoscono in orfanotrofio in Cecoslovacchia negli anni ’20 dove iniziano ad esercitarsi in ardimentosi esercizi equestri, e, dopo una fuga, approdano in un circo che li farà girare per tutta Europa fino all’ascesa di Hitler che fermerà i loro sogni. Da un legame di fratellanza scopriranno di amarsi e sappiamo tutti che la persecuzione nazista ho ferocemente colpito anche gli omosessuali. I capitoli al passato sono alternati a quelli al presente dove il coprotagonista si trova ad accudire come operatore socio sanitario un anziano Sasha nel 2014. La bellezza di questa opera che l’editore Fandango, secondo me sbagliando, ha etichettato come libro per ragazzi, sta nella delicatezza di una storia fragile e potente, nella cura per l’adorabile vecchietto, nello studio importante che Johan Ehn ha condotto per raccontarci Berlino nel 1933, l’unione profonda tra Sasha e Janek ma anche tra loro e i propri cavalli. E’ una storia piuttosto insolita che rimane dentro, anche grazie al finale spiazzante e pregno di significato.

I giorni del mare è il primo libro letto dei miei pochi acquisti del Salone, pubblicato da Atlantide, un editore che seguo, ne avevo visto l’uscita su Instagram e ne ero rimasta subito affascinata: agosto in Bretagna, una grande casa che accoglie ogni estate tanti parenti, cugini che crescono, vanno e vengono in quell’incedere nostalgico che i luoghi dell’infanzia conservano. Un’insieme di temi a me cari, un’ambientazione che amo e poi puf, non ho trovato quanto ha promesso. Mi è sembrato tutto abbozzato, oltretutto 150 pagine per 22 euro seppure con carta di pregio, edizione numerata (cosa piuttosto ininfluente ai fini della lettura) mi pare eccessivo, ma era proprio il classico libro “ah voglio leggerlo su-bi-to! quindi li avevo pure spesi volentieri. Non che 7 sia un brutto voto, ma c’erano i presupposti per 9 o 10. Un vero peccato.

E così tra un’ora saremo in giugno. Anticiperò di qualche giorno il post con le letture perché il 29, sempre a Dio piacendo visto il periodo, partiremo per il nostro amato Conero dove trascorreremo un pezzo di vacanze estive.

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Il Salone con l’alluvione

Come molti già sanno, l’editore con cui ho  pubblicato l’ultimo romanzo è romagnolo e ha dovuto rinunciare al Salone. Una decisione difficile presa il giovedì, a Salone iniziato, quando il giorno prima aveva valutato di arrivare in ritardo ma di esserci. Questo ha fortemente condizionato la mia visita, alcuni autori sono comunque stati presenti tre giorni su cinque, con una parte dei libri che avevano in casa. In particolare Roberto, che sostiene abitualmente Plesio facendo delle fiere in autonomia e avrebbe dovuto essere al Play di Modena, sua zona di residenza, fiera concomitante, ha cambiato rotta con i volumi ed è arrivato a Torino venerdì. Io no, io zero copie di “Quanto basta per essere felici” e il fatto che neppure Roberto (persona squisita) le avesse, ha confermato quanto già pensavo cioè che il mio romanzo sia un outsider, ai limite del catalogo come trama e questo continua purtroppo a farmi sentire un po’ estranea, fatico anche a leggere gli altri libri Plesio e quindi allo stand sono in difficoltà coi consigli ai lettori che si avvicinano. Figuriamoci senza il mio libro, proprio del tutto, sostituito da fogli A 5 con una piccola scheda di presentazione e la foto della copertina, che ho distribuito per farlo conoscere. Lo stato d’animo allo stand era tra il mesto e l’euforico. Straniante.

Il resto una bolgia mai vista, al punto che non abbiamo individuato la scala per salire al Self Service dove di solito pranziamo comodamente, al punto che l’auto l’abbiamo lasciata al parcheggio più lontano, perché i primi tre erano pieni. Fortuna che almeno in biglietteria non c’era nessuno!

Dentro, cominciamo dall’Oval e per la prima volta ho con me un micro elenco di otto editori tassativi dove andare, purtroppo poi in tre di questi, cioè Giuntina, Marcos y Marcos e Sur, nel momento in cui sono passata non c’erano rispettivamente Shulim. Roberta ed Eleonora, quindi non ho comprato nulla perché l’acquisto era subordinato alla chiacchiera/consiglio. Peccato. Ciao Eleonora, alla prossima!

In tutto questo ho:

lasciato la stampa della mia Formica a un editore che sta facendo scouting di albi illustrati e aveva proprio scritto su Instagram di portare le proposte; risposta entro un mese.

Rivisto con grande piacere l’editore di cui ho parlato nel post Sincronicità, nonché libraio di Lavagna, dove ho comprato due libri. Ci siamo salutati incrociando fisicamente le dita per il responso al mio manoscritto ancora in corsa.

Scoperto un editore appassionato che ha acquisito i diritti dei libri di Brunella Gasperini e li sta ripubblicando. Momento molto, ma molto felice. Epico proprio. Non potevo crederci, sono rimasta lì a lungo a parlare della mia vera icona, nonché e forse soprattutto, consolazione alla mia solitudine adolescenziale. Io ne ho ben tredici di cui la maggior parte originali anni ’70/’80 ma già ne ho recuperato uno che avevo letto e molto amato secoli fa e che non avevo, poi me ne mancano altri cinque. E’ una meraviglia sapere che adesso ci sono, per la mia collezione nella libreria dei sogni, ma anche poterli consigliare di nuovo senza che i lettori impazziscano a trovarli. Da quel momento in poi, eravamo entrati da un’ora circa, ho pensato che il Salone nonostante tutto l’avrei portato a casa, perché una gioia così intensa mi stava ripagando in pieno.

Da lì tra stare al mio stand (io) e girare (io meno, mio marito e il suo ex collega venuto con noi di più) alla fine siamo rimasti circa cinque ore, non tantissime, direi un record in negativo. Come molti hanno sottolineato la gente era proprio tanta, a un certo punto un muro invalicabile di giovanissimi in attesa di non so chi fuori da una sala, ho chiesto ed era lei, Kira Shell, una delle tante che scrivono spesso storie di amori tossici (non so se il suo Kiss me like you love me lo sia) che fanno stragi di lettrici, che poi mediamente no, non diventano lettrici forti anche di altro, ma solo groupie di queste scrittrici.

Il salone rimane una festa, anche con il costo del biglietto che è aumentato di altri 2 euro, passando da 16 a 18 se acquistato lì. Tantissimo. Pre pandemia era 10!

Anche con gli eventi ormai inaccessibili nel weekend, gente prenotata che fa la fila di due ore e poi non entra, è scandaloso, ma tanto. No, non sono tra loro, non ci ho neppure provato.

Il Salone per me è un’occasione per connettermi con la mia ossessione libresca, cosa che in realtà faccio sempre mentalmente, ma qui si concretizza con la presenza fisica di una quantità inverosimile di possibilità.

E’ un enorme teatro in cammino dove un popolo accomunato da una passione inscena lo spettacolo della lettura, si stordisce di parole, trame e personaggi, ma anche di viaggi, ricette e saggistica.

Dicevo che il momento di uscire è giunto piuttosto in fretta, avevamo infatti appuntamento alle 18 con gli amici del mare delle vacanze in Grecia della stagione spensierata della gioventù dell’Orso, tradizione da ormai tre edizioni. Attraversare i padiglioni gremiti, raggiungere il parcheggio e uscire nel traffico cittadino ha portato via un po’ di tempo. Siamo infine approdati a Moncalieri e l’aperitivo è stato una parte importante e assai allegra della giornata. E’ bello vedere come amicizie nate tanto tempo fa abbiano saputo ritrovarsi e rinnovarsi. Io con loro sto sempre benissimo, nonostante li conosca da pochissimo, ogni volta dobbiamo farci violenza per rimetterci in auto e tornare a casa.

Penso che l’anno prossimo vorrei andarci di lunedì, ma questo significherebbe saltare il dopo salone da Simona e Davide, perché poi la vita è un macello e ci si vede solo se c’è il Salone e allora boh. L’ideale sarebbe domenica e lunedì ma chissà.

Nel complesso è stato stancante come da tradizione, forse più del solito, per l’aspetto emotivo della tragedia romagnola. Ho appena avuto un nuovo momento di cedimento guardando le immagini in Tv, ora l’acqua stagnante ancora nelle case è putrida, quella dei fiumi si è mischiata con quella delle fogne, si rischiano diverse patologie. Terribile.

Tanta solidarietà per Plesio anche da parte di personaggi importanti in editoria come Linda Rando, ma anche qualche mancato segnale di affetto, che mi ha fatto dispiacere. Nel 2022 c’erano 900 espositori, non ho ancora i dati di quest’anno, ma un solo editore non ha potuto partecipare per la tragedia climatica, ed era il mio. Lungi da me sventolare bandiere di sfortuna a fronte dei morti e degli sfollati, ma “Oh, Sandra, mi spiace” da parte di chi oltretutto era lì a Torino e bazzica parecchio i social, era questione di un attimo.

Lo scrivo qui perché poi questo post lo rileggerò volentieri negli anni ed è giusto ricordarsi delle persone che ti feriscono un pochetto. Buttarsi le cose alle spalle è un’operazione complessa che va fatta bene, altrimenti niente e questa edizione di Torino è stata così, è stata quella dei fiumi che esondano e della mia editorA che senza elettricità mi manda i vocali per scusarsi di non essersi fatta viva e di chi invece poteva farsi vivo e non l’ha fatto.

Sono passati tre giorni in cui ho composto il puzzle della fiera e il disegno che è uscito è questo, abbastanza di pancia, va detto. La giornata di domenica finisce comunque nel libretto della felicità.

Sono sempre le persone a fare la differenza.

I libri i migliori compagni di viaggio quando qualcosa va storto; non ne ho comprati molti, acquisti ragionati, letture con alte aspettative. Vedremo insieme nelle liste mensili se si confermeranno scelte azzeccate.

A ognuno la sua felicità in vacanza

Sono una persona semplice: bambina degli anni ’70, godo di un benessere maggiore di quello che avevo all’epoca, ma non ho dimenticato nulla di quel tempo e so riconoscere a malincuore che la faccia oscura del progresso a cui tento di sfuggire ogni giorno, riuscendoci per altro a fasi alterne, è il desiderio di avere sempre di più, di non conservare piccole cose speciali per occasioni saltuarie, come il dolce della domenica, il pranzo fuori per festeggiare un evento. Al ristorante la mia famiglia non ci andò neppure per la mia Prima comunione e la Cresima, adesso mediamente non passa una settimana senza che si esca a cena.

In questi giorni di maggio che pare novembre abbiamo anche prenotato le vacanze estive; purtroppo a causa di una rigida imposizione aziendale dell’Orso e di esigenze lavorative mie, non abbiamo due settimane di ferie uguali, bensì due tranche di una settimana e due giorni. Il periodo più breve e spezzato e i prezzi folli che si trovano ovunque ci hanno fortemente condizionati e alla fine torneremo a Sirolo, ma ragionandoci su, pur rimanendo il disappunto per un soggiorno più corto, sono molto felice di andare di nuovo nel mio amato Conero, nella stessa adoratissima struttura.

Il pensiero che ho maturato riguardo i viaggi è che per quelli balneari potrei anche serenamente tornare ogni anno lì, o spaziare al massimo tra Marina di Pietrasanta e Cesenatico, ovvero in luoghi consolidati, perché alla fine al mare a me piace fare proprio la vita di mare: sveglia non troppo presto, una bella colazione con calma possibilmente all’aperto, lunghe ore in spiaggia (con rientro in camera dopo pranzo se non si è lontani, a Sirolo si sta tutto il giorno al lido di Marcelli di Numana che non è il più vicino ma quello che preferiamo), rientro al B&B, doccia, ci si prepara per la cena, vestiti carini, scofanate di pesce, passeggiata, nanna e si ricomincia. La pace, la felicità, l’azzurro delle onde davanti a me mentre leggo pagine e pagine dei libri che mi sono portata, le vacanze in auto consentono di abbondare coi bagagli. Buttare lì all’Orso qualche frase tipo “stasera dove vuoi cenare?”

Dopo la villeggiatura della mia infanzia e adolescenza esclusivamente in Romagna, da quando lavoro ho trascorso le ferie in diverse località nel mediterraneo: sette volte in Grecia, Majorca, Costa del Sol, Cipro, due volte in Sardegna, due in Calabria, due in Sicilia, Positano, Sorrento, Gallipoli,  Marocco, Isola del Giglio, Camargue e qui mi fermo perché facendo una veloce somma siamo a una ventina ma lavoro da 35 anni per cui mancano tutti i luoghi che si sono ripetuti più volte, tra Romagna, Versilia, Liguria e appunto Conero. Ovviamente alternando spiaggia ed escursioni, modo di viaggiare che continua a piacermi, certo, ma in fondo sono una donna di mezza età che ama le comodità e sa cosa la rende felice. Ammiro ma non invidio chi prende e va dall’altra parte del mondo per cinque giorni ma no, grazie, non fa per me. Con dieci giorni, che tanto si sa che volano (passassero allo stesso modo le ore in ufficio, mannaggia) preferisco qualcosa di più stanziale, sperando che l’anno prossimo si possa tornare ad avere due settimane in comune; cosa che non abbiamo avuto neppure lo scorso anno, nel 2021 sì, ma la vacanza fu spezzata dal dover tornare a Milano per la seconda dose di vaccino, ragion per cui scegliemmo la Versilia e facemmo avanti e indietro in meno di 24 ore.

Durante quella vacanza la sera prendevamo sempre qualcosa da bere al bar di fronte che si chiama “Cervetti” ma io la prima volta per sbaglio lessi “Carletti” e per noi è rimasto Il Carletti. Eravamo rientrati al B&B dopo la cena e sedevamo giù nel piccolo patio prima di salire in camera, e io dissi appunto “ma se andassi a prendere un Baileys al Carletti e ce lo beviamo qui?” La ragazza del bar ogni sera ci preparava qualcosa da asporto, tipo il Porto da asporto e quando la seconda settimana cambiammo camera, spostandoci in quella col mega terrazzo ce lo bevevamo con calma godendoci la mitezza delle temperature serali, chiacchierando, ripensando alla giornata trascorsa, facendo il pieno di relax e di energia in vista dell’inverno. Questa è la mia idea di felicità estiva. geco

Nella foto presa da Booking La locanda del Geco a Marina di Pietrasanta dove siamo stati due volte, dormendo anche nella camera col terrazzo che vedete a destra. L’edificio attira di continuo lo sguardo dei passanti perché è davvero bello e spicca col suo verde pistacchio. Qui si svolsero i fatti di cui vi ho raccontato sopra.

Il viaggio di scoperta è qualcosa di differente che, di sicuro, ancora mi attrae. La perfezione, senza avere chissà che pretese e infatti è ciò che abbiamo fatto per anni, sono due settimane al mare tra giugno e luglio e poi a primavera o in autunno 5/6 giorni in una città europea. E magari ogni tanto, come lo scorso anno che siamo andati in Austria, o nel 2010 che abbiamo fatto Bretagna e Normandia, rinunciare al mare in virtù di un tour in autonomia.

Certo è che al momento ci sono vincoli nuovi: l’inflazione e la speculazione sui prezzi costringono a grossi ridimensionamenti (per nove notti a Zante, volo e transfer da e per l’aeroporto, pernottamento e colazione in un hotel bello ma non l’Hilton ci hanno chiesto 1700 euro a testa! Mykonos addirittura 2800!) e l’obbligo per Emanuele di godere di tre settimane di ferie tutte in estate, di cui, soprattutto due in agosto, hanno cambiato la nostra gestione dei momenti di vero stacco, quando si chiude la casa e si parte.

Però credo che una delle formule dell’esistenza sia cavarsela al meglio con gli strumenti che ci vengono dati di volta in volta, e capire qual è la nostra personale idea di felicità è il primo passo per poterla raggiungere. Nonostante tutto.

Fari azzurri

La giornata di ieri, ma non è stata molto pubblicizzata, era dedicata alla disconnessione, e ho scelto di aderire, da una parte è stato facile: siamo stati fuori praticamente tutto il giorno, dall’altra visto che eravamo a una mega festa con tanto di Dress Code Azzurro, c’erano un sacco di cose instagrammabili ed è stato anche bello non farsi soggiogare.IMG-20230506-WA0005 (1)

Pubblico quindi qui volentieri l’immagine della coppia più simpatica del mondo, cioè Orso secondo me assai apprezzabile e la sottoscritta che ha scelto un look che solo dopo ha realizzato essere perfettamente Puffo (i Puffi hanno i pantaloni bianchi!) E’ stata una festa meravigliosa, compleanno amica, e qui desidero trasferirne un frammento. Avevo già incontrato la mamma della festeggiata, ma non il padre, ottantaduenne, che quando sua moglie mi ha presentata mi ha detto: “la sua fama l’ha preceduta, ho letto alcuni suoi libri” e me ne ha parlato. L’anziano adorabile continuava a commuoversi, per l’evento, la gioia, i nipoti, la figlia, con due occhi azzurri vivaci ma un po’ acquosi. Durante la festa abbiamo chiacchierato ancora e quando l’ho salutato prima di andarmene mi ha detto che avrebbe riletto volentieri qualche mio romanzo, perché già gli avevano lasciato dei pensieri ma voleva approfondire, trovarne di altri, e abbiamo quindi chiacchierato circa i diversi piani di lettura che un libro spesso sa offrire. Quest’uomo mi ha lasciato qualcosa di davvero prezioso, complimentandosi per la mia passione, dicendo poi alla mia amica – che me l’ha riferito via messaggio – di essere stato contentissimo di conoscermi. Qualcosa che è la reale esperienza di unione tra autore e lettore, qualcosa che ha un grande significato anche considerata l’età dell’uomo, ben portata va detto, guida ancora ed era davvero in gamba, ma la sua fragilità delle emozioni che non era in grado di trattenere mi ha ribaltato il cuore come non mai. IMG-20230506-WA0015 (1)

Tra due settimane saremo al Salone di Torino, incredibile, è già qua e ieri è stata una perfetta giornata estiva, ho tolto la giacca e avevo pure tolto la canottiera intima e le calze (reale godimento, ne convengo!)

Il Salone è sempre un luna park ma anche un’occasione di concreta riflessione su dove io stia andando con la mia produzione e al momento non lo so. Non lo so perché anche se ho passato buona parte della mia vita di autrice ad attendere risposte, queste sono particolarmente importanti perché non sto comunque più scrivendo, e se saranno altri “No”, sarei proprio alla fine. Il ragionamento si concentra tanto anche su quanto una piccola realtà editoriale possa rappresentare un’opportunità ed è davvero difficile imbroccarla. Lo straordinario successo di Always Publishing con “Dammi mille baci” racconta di un editore che all’epoca era del tutto paragonabile ad altri con cui ho pubblicato io e che poi hanno avuto un destino completamente diverso (da uno me ne sono andata recidendo il contratto, un altro ha chiuso e con il terzo il mio romance è lì a galleggiare senza alcun tipo di spinta), si può essere lungimiranti finché si vuole (o può) ma l’imperscrutabile è sempre una discriminante fondamentale. In questi giorni si parla anche tanto di Laurana e del suo “Le ferrovie del Messico”, l’autore ha esordito nel 2017 con Bookabook. Proprio in quegli anni io ho avuto due proposte da Bookabook che rifiutai.

Parlando poi con un’amica autrice mi ha detto, in maniera molto arguta a mio avviso, che la meritocrazia in quest’epoca è la perversione del privilegio, perché se non arrivi, se non ce la fai, nonostante impegno e competenze, beh, ti tocca pure in qualche modo scusarti, sentirti ulteriormente sminuito “Ma come? Il tuo libro non si trova al supermercato? Hai visto la tizia col self che brava? Potresti affidarti alla sua agenzia.”

C’è un editore piccolo ma in crescita che mi pare affidabile, lo tengo d’occhio, potrebbe esplodere come Always Publishing oppure morire, e comunque magari manco mi vorrà ma sta facendo scouting di albi illustrati e a Torino si può consegnare allo stand il progetto, per cui ho stampato per bene la mia Formica che cerca casa da anni e gliela porterò

E poi c’è sempre la risposta dall’editore di cui ho parlato in questo post. Avevo inviato due manoscritti, uno l’ha rifiutato in pochissimo tempo e l’altro è ancora in corsa.

Non ho altro tra le  mani, però nel cuore ho lo sguardo del papà di Sabrina: prometto che sarà il mio faro e la smetterò di seguire sirene che quegli occhi non li avranno mai.

Quando una lettura ti lascia senza fiato – La casa di marzapane di Jennifer Egan

Quando un anno fa appresi che Jennifer Egan sarebbe stata al Salone di Torino per presentare il suo ultimo romanzo “La casa di marzapane” gongolai e sperai di partecipare all’evento, purtroppo non riuscii e a quel punto non comprai il libro nonostante sapere che c’erano alcuni personaggi de “Il tempo è un bastardo” (clicca per il vecchio post) , che tanto ho amato, mi intrigava da matti (remavano contro i 22 euro del prezzo). Alla fine, rimanda oggi, rimanda domani, in attesa del tascabile (ancora non è uscito) è passato un anno e l’ho preso in biblioteca settimana scorsa.

Il pensiero iniziale è stato che forse nella creatività portare all’estremo qualcosa che ha funzionato molto bene, in questo caso una struttura narrativa originale a incastro, può non essere una buona idea e conduce al disastro. Un po’ come anni fa andava di moda tinteggiare una sola parete in una stanza di un colore molto acceso, ma fare l’intero soggiorno arancione sarebbe stato troppo. Qui ci si perde sul serio e mettere come prime parole nella fascetta “Bix Bouton è assurto a semidio della tecnologia (…) Nel giro di un decennio la nuova tecnologia di Bix Riprenditi l’inconscio (…) ha sedotto moltitudini” lascia intendere che Bix Bouton e la sua invenzione siano al centro della storia, ma così non è. La sensazione fastidiosa e forse mai provata prima mentre leggevo è quella di non avere la minima idea di chi sta facendo cosa, se a un certo punto il personaggio X (invento) è al mare, non so se nel capitolo precedente era sempre X in città o forse era piuttosto Y, cugino di X, ma magari siamo tornati indietro nel tempo e X manco era nato. Così, per 191 pagine in cui annaspo alla ricerca dei personaggi de “Il tempo è un bastardo” ma ho l’enorme problema di ricordarne in maniera vivida, nomi compresi, soltanto due. Più uno di cui ho dimenticato il nome, ma ho ben presente la vicenda. Ogni tanto salta fuori Bennie Salazar e torno a respirare ma non basta. Fino a pag 192, uno spartiacque con un ottimo capitolo che, grazie alla costruzione del testo, potrebbe essere un racconto autoconclusivo, in cui proprio uno dei  figli di Bennie, Chris, è il protagonista: si ritrova in una situazione bislacca e pensa di rifugiarsi dalla nonna che tempo addietro al corso di yoga acquatico aveva fatto amicizia con una donna il cui figlio aveva a che fare coi Bitcoin, insomma l’arzilla vecchietta era diventata ricca al punto di comprarsi un Mondrian che teneva appeso in casa privo di assicurazione e per confondere le acque si era circondata di paccottiglia finto Mondrian, perché nessun possessore di un vero Mondrian comprerebbe mai gadget e ciarpame con motivi alla Mondrian. Godibilissimo, la lettura finalmente comincia a farsi interessante.

Subito dopo, a pag 209 con la parte intitolata “Caduta” (vorrei chiedere a Mondadori perché diavolo non ha inserito un indice assolutamente necessario) che dura 120 pagine mi rendo conto che tenere duro fino a quel momento non è stato facile ma, Dio mio, adesso vengo ricompensata! alla grande!

“Il perimetro: Dopo” è un capitolo spettacolare e ha per protagonista una tredicenne di sicuro già apparsa in precedenza, ma boh, in ogni caso essendo sempre parti in qualche modo autonome cambia poco; comunque capisco che si tratta dei vicini di casa dei Salazar, Molly è in piena crisi da abbandono da parte della migliore amica stronzetta Stella che non fa altro che scaricarla, come in quel momento al Circolo del Tennis e del Golf. E’ tutto perfetto, la scrittura di Jennifer Egan in realtà lo è tanto anche nelle forme lessicali, nell’ironia di molti personaggi, in quella lotta di classe che fa da sottofondo, nelle fragilità umane così ben narrate ma qui è proprio arte. Non poteva essere così fin dal principio? Finito il capitolo c’è una roba stranissima dal titolo Lulu la Spia 2032, le 30 pagine sono divise in due colonne ed è una sorta di libretto di istruzioni per spie, una di queste l’ho usata come incipit al mio post precedente. Ora, alcune sono divertentissime, altre un po’ una forzatura ma la cosa nel complesso regge molto bene. Ma chi è Lulu? Lulu è ragazzina – qui ormai adulta – che ne “Il perimetro Dopo” incontra Molly disperata per il comportamento di Stella al circolo sportivo, e ne diventa amica.  Segue quindi “Il perimetro: Prima” siamo di nuovo con Molly ma la voce narrante è sua sorella e siamo tornati indietro di diversi anni, prima dell’evento al Country Club. Questo un capitolo pazzesco, la mamma di Molly tra il folle e il geniale continua a litigare coi vicini per questione di confine, vicini che, lo ricordo, sono i Salazar, fil rouge e ponte con “Il tempo è un bastardo” il motivo per cui non ho scaraventato il libro dal balcone (oltre che per il fatto di averlo preso in prestito). La quotidianità di una madre che ritaglia le etichette dietro le T shirt che grattano il collo, di un padre che tenta di arginare le sue inopportune stravaganze, la festa finale dai Salazar a cui la donna non vuole prendere parte che diventa poi una sorta di icona delle relazioni sociali. E poi sbang altre 48 pagine che concludono la parte “Caduta” col capitolo “Vedi sotto” interamente epistolare con un grosso salto temporale in avanti: Lulu è una spia a riposo convinta di avere ancora dispositivi per lo spionaggio all’interno del suo corpo, il che le complica parecchio la vita. Tra una mail e l’altra, le persone coinvolte nella corrispondenza sono diverse, mi rendo finalmente conto (forse ci sarei arrivata prima se solo avessi ricordato i nomi dei protagonisti de “Il tempo è un bastardo” ma anche tu, Jennifer Egan, hai impiegato un po’ troppi anni per scrivere questa sorta di sequel) che Lulu altri non è che la figlia della protagonista del capitolo “Vendere il generale” che avevo così tanto apprezzato.

Ecco, io quando ho letto questa cosa ero in metropolitana, stavo andando – cosa del tutto fuori programma – da mamma Orsa in difficoltà, e per fortuna, uscendo quella mattina per andare prima in agenzia di viaggio e poi a prenotare una visita medica per me, mi ero infilata il libro in borsa perché poi ho passato molto più tempo del previsto sui mezzi! Io in quel momento credo di essere sobbalzata, e sono stata così felice di ritrovare Lulu e sua madre!

Il romanzo si chiude con Bix Bouton che in realtà è poco più di una comparsa, un’ombra che aleggia con la sua invenzione con cui un po’ tutti fanno i conti ma sono le relazioni l’essenza di una storia complessa a cui, opinione personalissima, l’autrice non ha saputo del tutto tenere le briglie. In pratica mezzo libro per me è una cantonata/delusione ma poi esplode in qualcosa di straordinario e di elevatissima caratura, qualcosa che ha saputo rinnovare in me la suggestione di farmi portare altrove e l’ha fatto a un livello a cui pochi romanzi sono arrivati.

E se avete letto il post che vi ho linkato, allora saprete già che ho comprato “Il tempo è un bastardo” in un giorno caotico in cui eravamo corsi da mia suocera che già non stava bene e poi sarebbe stata operata d’urgenza. C’è un’analogia così incredibile tre le due letture, avvenute a molti anni di distanza, da lasciarmi completamente in balia di un’emozione potente. Rimane la questione sul voto da assegnare, lo scoprirete a fine mese perché in questo momento non ne ho proprio idea.

Over 50, un limite flessibile

Passare per giovani è cosa particolarmente gradita a chi probabilmente non passerà per giovane ancora per molto.

Jennifer Egan La casa di marzapane Ediz. Mondadori Traduz. Gianni Pannofino

Ho cinquantaquattro anni, sono nell’anno dei cinquantacinque ma essendo nata a dicembre me la sfango ancora per un po’. Ho diverse amiche che non hanno ancora varcato la soglia dei cinquanta e voglio dire loro che no, i cinquanta non sono affatto i nuovi quaranta. Ma, allo stesso tempo, non sono tutta sta tragedia.

Non credo che si sia allungata la vita, si è allungata la vecchiaia, prova ne è che comunque non è che adesso la scuola elementare (primaria) duri otto anni. Si è allungato il tempo lavorativo, oggi – escludendo un breve periodo di lavoro nero – festeggio 35 anni di lavoro e se ci fossero le regole di quando iniziai potrei andarmene in pensione. Ci sono un sacco di non è vero alla mia età: non è vero che il tempo non conta, non è vero che tanto adesso i figli si fanno tardi (accade ma non è sto vantaggio e mettersi in pista dopo i 38/40 ha grandi chance di ottenere un fallimento), l’energia è un po’ in calo e siccome è la quarta età a essersi dilatata probabilmente abbiamo a che fare con genitori molto in là negli anni, che fatichiamo ad accudire, anche perché appunto stiamo ancora lavorando. E chissà per quanto.

Fare il confronto guardando le foto delle nostre mamme o nonne non ha alcun senso perché la moda dell’epoca, ormai superata, le farà sempre sembrare fuori posto. Le mie nonne avevano 58 anni al matrimonio dei miei genitori, 4 più di me ora, ma sembrano le mie nonne (certo lo sono) ma della di me di adesso con l’aspetto di loro allora, mentre in quell’immagine mi sono quasi coetanee. Ho scritto una frase super ingarbugliata.

Credo di portarli piuttosto bene, finalmente mi godo la contropartita di quando diciassettenne sprovvista di carta di identità mi vedevo sbarrato l’ingresso in discoteca, perché sembravo un quattordicenne o anche meno. Dimostrare meno anni è un mix di fortuna a accorgimenti; intorno a me miriadi di donne, non per forza del mondo dello spettacolo, già rifatte, io invece non uso neppure filtri nelle story di Instagram. Certo, se in una foto sono venuta male non la pubblico, mi pare il minimo. Ma diamine mi è capitato di non riconoscere donne che avevo visto fino a quel momento solo su Instagram quando poi le ho incontrate di persona.

Purtroppo si è interrotto senza spiegazioni lo studio sulla depressione post cinquant’anni, al quale io e la twin stavamo partecipando, posto che si è capito subito che non sono depressa, non ho mai avuto la restituzione degli esami cognitivi e di memoria per i quali nutrivo un’immensa curiosità. Cosa dice la scienza delle mie facoltà? Reggono ancora o sono in caduta libera?

Ho un’amica coetanea già nonna e un’altra che ha avuto il primo figlio lo scorso anno. Sì, è una fascia di età in cui si può essere molte, moltissime “cose”.  L’unica verità è che non dobbiamo mai sentirci sconfitte dagli anni, ma abbiamo il diritto di essere tristi senza un motivo svegliandoci al mattino, o anche nervose per situazioni contingenti che ci rotolano addosso di cui faremmo volentieri a meno.

L’altro giorno ho visto su una panchina una donna molto anziana che faceva le parole crociate, indossava un giubbino lilla con una gonna viola, e un paio di collant di pizzo violetto, un abbinamento in palette sicuramente studiato, le calze mi sono sembrate un po’ azzardate, ma perché no? Non era ridicola nel senso con una gonna troppo corta (Enzo Miccio dice addirittura che dopo i quaranta le gonne sopra il ginocchio sono da evitare) e secondo me ha fatto benissimo a seguire la sua voglia di colore e frivolezza.

Tra essere trascurate e vestire come se si andasse alla prima della Scala ci sono mille sfumature, io ho scelto di non truccarmi più per andare in ufficio, ho smesso con la faccenda mascherina, cerco di indossare sempre abiti che mi facciano sentire a posto, dai jeans ai vestitini e non esco mai in tuta, neppure per prendere il pane sotto casa, raramente uso i tacchi (sono scomodi dai) e ho comunque i miei capi preferiti per ogni stagione. E’ rarissime che faccia una manicure dall’estetista, mentre per la pedicure una o due volte in estate. Vorrei avere i capelli più dritti ma non ho ancora comprato la piastra e dopo la pandemia vado molto meno di frequente dal parrucchiere.

Credo che un tempo mi si sarebbe definita “giovanile” termine in disuso, in ogni caso spero sempre di essere ricordata più per quello che dico o faccio che per il mio aspetto.

Letture e felicità di aprile

Aprile è stato un mese paradossale: tirando le somme sul libretto dei momenti felici scopro che è il mese che ne ha messi a segno di più dall’inizio dell’anno, eppure la percezione è che non sia stato affatto un bel mese. Molti momenti di gioia vera sono stati coi nipoti, anche la conclusione ieri sera a casa della twin per una cena greca con la mia proverbiale moussaka. Il fatto è che tra epicondilite (che ora va decisamente meglio grazie alle onde d’urto) e altre magagne fisice non sono stata affatto bene. In più dapprima avevamo prenotato sul nostro amato Trasimeno per Pasqua, disdetto per presunto (basandosi su quanto detto al pre ricovero) intervento suocera, riposizionato ma a Cesenatico (a Passignano non c’era posto) dal 28 a oggi, nuovamente annullato che alla fine mamma orsa è stata operata il 27 e in questi giorni siamo nel can can ospedaliero disorganizzato de “la dimettiamo, ah no” e la prospettiva di un nuovo mese di attesa per il secondo istologico.

In qualsiasi caos riesco a sempre a leggere tanto, e questo per me è eccellente. Ecco quindi le letture di aprile:

  1. Koto Yasunari Kawabata traduz. Mario Teti voto 8
  2. Disaccordi imperfetti Jonathan Coe traduz. Valentina Vezzoli voto 10
  3. Anime Roy  Chen Traduz. Shulim Vogelman e Bianca Ambrosio voto 9
  4. La sindrome di Proust Lorenzo Sartori voto 7
  5. Non voltarti Daphne du Maurier traduz. Marina Vaggi racconto lungo voto 10
  6. Sempre tornare Daniele Mencarelli voto 6 ½

C’è tantissimo da dire, nonostante il 2 e il 5 abbiano meritato un post a parte. Leggo raramente narrativa giapponese, questo Kawabata, premio Nobel per la letteratura, è un libretto residuo dello smantellamento di un centro culturale giapponese frequentato dalla twin, che ha un diploma superiore in giapponese (oggi sarebbe una laurea triennale), insomma lei l’ha preso ma ne aveva un’altra copia e mi ha chiesto se lo volevo. La cosa spettacolare è la descrizione della primavera di Kyoto con gli alberi in fiore e il fatto che io l’abbia letto proprio il 1 aprile in quell’unico pomeriggio in cui sono andata al parco alla ricerca dei miei alberi preferiti. Si è creata quindi una meravigliosa sintonia tra lettura e ambiente.

Di Disaccordi imperfetti aggiungo la grandiosa ultima parte in cui l’autore racconta senza veli la sua totale ossessione per Billy Wilder, sul quale ha scritto un romanzo, nata nel 1972 quando Coe undicenne in vacanza in Cornovaglia si imbatte in un romanzetto Vita privata di Sherlock Holmes che, da amante del celebre investigatore, lo lascia quantomeno perplesso, e conclusasi (anche se in realtà non è mai finita) nel 2004 con una corrispondenza tra lui e il famosissimo regista ormai molto anziano e acciaccato. Jonathan Coe con un’umiltà assai apprezzabile rivela di aver cercato di ricatturare per tutta la vita la beatitudine della visione nel 1975 del film tratto da quel libretto che non aveva sollecitato la sua curiosità bensì solo il suo sdegno. Ho davvero adorata questo capitolo, che rende il mito Coe (per me lo è!) tanto umano.

Anime è stato il mio acquisto Giuntina al Book Pride e dopo averlo scelto e letto (ne ho parlato nel post Sincronicità) è davvero esploso e addirittura eletto tra i 100 classici moderni che in qualche modo rimarranno. Ora, questi elenchi per me hanno poco senso, ma danno di sicuro un’enorme visibilità anche a testi come Anime di nicchia. La storia è una sovrapposizione di trame, trattandosi di un personaggio che si reincarna in epoche diverse, mentre il filo conduttore della madre che smentisce ogni volta e dice che in realtà il figlio è fuori di testa è geniale, ma ancora di più lo il finale. Non è un romanzo facilissimo, ma lo consiglio di sicuro.

Lorenzo Sartori è un mio collega in Plesio, editore di questo romanzo distopico ma soprattutto un autore di Gialli per Laurana, attualmente sulla rampa di lancio di un certo successo, che trovo meritevole. La sindrome di Proust non è il mio genere, per niente, ma è scritto molto bene, ha un intreccio avvincente con tanto di complotto e omicidio e un’idea di base interessante, cioè la possibilità di esternalizzare i ricordi in un futuro piuttosto vicino. Chiaramente ho faticato a seguirlo ma questo è solo un mio problema appunto rispetto al genere che non pratico.

E veniamo alla delusione Mencarelli! Che dopo due romanzi splendidi e molto amati mi viene da dire: meno male che l’ho preso in biblioteca perché avrei rimpianto tantissimo i soldi spesi; chissà cosa sarebbe successo se questo stesso testo, scritto però da uno sconosciuto. fosse approdato in Mondadori. Ritroviamo il Daniele de La casa degli sguardi e Tutto chiede salvezza, diciassettenne di ritorno in autostop da Misano ai Colli romani dopo aver abbandonato gli amici in vacanza. Problemoni: la scrittura sentimentale che nei precedenti era poesia qui è scaduta a frasi da cartina dei Baci Perugina, e la profusione di frasi fatte come “bella mostra” (che alla fine ho smesso si contare) è realmente fastidiosa. L’autore lascia sempre intendere che sia una storia almeno in parte autobiografica, diciamo romanzata; ecco io non posso credere che tutti i personaggi che Daniele incontra lungo la strada che gli daranno un passaggio e spesso anche alloggio siano reali. Troppo macchiette, persone con drammoni che si affezionano a Daniele offrendogli soldi e affetto spropositati. Avevo prenotato in biblioteca il suo nuovo romanzo e l’ho disdetto, visto che avevo raggiunto il limite di volumi prenotabili e ne avevo visti altri che a sto punto preferisco leggere. Non faccio grande affidamento ad Amazon ma ho letto opinioni concordi alla mia circa questo incredibile scivolone verso una prosa qualitativamente inferiore e una trama che non riesce più a emozionare. Che perdita!

Concludo, oggi è il primo maggio e per me sarà una giornata total relax in cui intendo andare parecchio avanti con la lettura del libro che avrei sperato di terminare prima, per inserirlo qui e invece sarà il primo della lista di maggio. Un’autrice molto amata (chi indovina?) che spero non a livello Mencarelli non si sta mantenendo sul livello che mi ha fatto innamorare. Ohi ohi, ma anche in questo caso l’ho preso in biblioteca.

E ora con un certo godimento ripongo al loro posto i libri nella libreria e per farlo salgo sulla scaletta, mentre questo post è stato scritto alla nuova scrivania modello Notaio.

Ah sì, va detto che ad aprile ho pure scritto qualcosina, due racconti per due concorsi. Vada come vada, rimettersi a scrivere è stato un atto di coraggio. Forse aprile è stato meno peggio di quanto mi era sembrato.

Buon primo Maggio!

Don’t look now. Racconti memorabili, dove trovarli.

Qualche giorno fa Jonathan Coe ha pubblicato su Instagram una foto di una chiesa  scattata durante la sua lunga vacanza veneziana con le parole: “San Nicolò dei Mendicoli in Venice, used as the exterior location for the church restored by Donald Sutherland in Don’t Look Now. (Or, to give it its very literal Italian title, A Venezia… un dicembre rosso shocking.)”

Subito mi è venuta una gran voglia di rileggere il racconto citato, scritto da Daphne du Maurier, che avevo letto vent’anni fa minimo, forse pure venticinque, se non addirittura trenta. Eppure così presente in me. Un desiderio quasi fisico: non ho il libro, dovevo procurarmelo al più presto. Dalla veloce ricerca nel portale del sistema bibliotecario milanese, ho scoperto che nella biblioteca sotto casa non c’è, ma in altre sedi sì e con pochi click l’ho prenotato nella più recente edizione Salani. La traduttrice Marina Vaggi ha tradotto il titolo “Non voltarti”, rimanendo più fedele all’originale, rispetto a “A Venezia… un dicembre rosso shocking” con il quale vi consiglio comunque di cercarlo, se vi interessa. Sono 80 pagine dei tipici libretti blu Sellerio. Ricordavo piuttosto bene la trama, ma la mia mente aveva sovrapposto due personaggi. L’eco di questo racconto assolutamente straordinario, che ho iniziato e concluso oggi, è rimasta con me e in me come pochi altri libri. Quando lo lessi ero nel mio periodo du Maurier, che associo al periodo Patricia Highsmith, così rendendomi conto dell’estrema forza e longevità di quest’opera nel mio archivio mentale, ho iniziato a ragionare sul motivo.

Due parole sulla trama: una coppia cerca di risollevarsi dalla morte della figlioletta con una vacanza a Venezia, ma le cose non sembrano funzionare, fino all’incontro casuale e cardine con due gemelle; la moglie ne è profondamente affascinata, tanto da riacquistare la spensieratezza, mentre il marito è convinto che siano due ciarlatane, forse persino pericolose. Non dico altro, è travolgente e Venezia è coprotagonista (naturalmente poi ho cominciato ad agitarmi perché voglio tornare a Venezia!) La trovata narrativa è perfetta nell’angoscia, nei dettagli, nello sgocciolio continuo delle acque della laguna da Torcello a San Marco che lambisce il disagio in cui si precipita fino allo sconvolgente finale. Perché è tanto memorabile? E cosa rende un racconto indimenticabile?

Faccio un passo indietro, da autrice. Di solito si comincia con i racconti: la brevità è ingannevole e si crede siano più facili, poi arriva la lezioncina di scrittura creativa per cui no, non sono più semplici da scrivere e poi ancora altri insegnanti ribaltano di nuovo la prospettiva: scrivere un romanzo sarà sempre più difficile perché, al pari della navigazione, più lungo è il percorso, maggiori probabilità avremo di incontrare ostacoli e insidie. La mia personale esperienza è che per scrivere un racconto pubblicabile (quelli che appunto ho pubblicato con Delos Digital) spesso mi ci sono voluti solo tre giorni, ma per scrivere un romanzo lungo sei volte tanto, non ho certo impiegato diciotto giorni, neppure nei casi più fortunati, quindi davvero non c’è proporzione. Tuttavia credo anche che il livello qualitativo dei miei racconti sia parecchio inferiore a quello dei romanzi, e in definitiva ritengo che scrivere un racconto spettacolare sia più difficile rispetto a scrivere un romanzo molto buono. Perché, e qui torniamo alla teoria che il racconto sia più faticoso sempre e comunque, in un romanzo eventuali sbavature potranno anche un po’ nascondersi tra le tante pagine, in un racconto, no.

Il racconto capolavoro coniuga una scrittura esemplare a un’idea molto originale, Daphne du Maurier fa di più: inventa un intreccio geniale, lo investe con la sua scrittura visiva e trasporta tutto in una delle città più affascinanti del mondo. Bingo.

In quei giorni, quando uscì il post di Coe io stavo proprio leggendo dei racconti di Coe. Si tratta di Disaccordi imperfetti, che avevo tralasciato quando uscirono (per la fastidiosa faccenda che i racconti oltretutto non godono di grande fama almeno in Italia), per poi decidere di recuperarli dopo l’incontro con Coe. Sono molto, molto belli, su alcuni dettagli tornerò quando scriverò delle letture di aprile, ora voglio soffermarmi su uno in particolare, che mi ha fatto compagnia in quel giorno eterno in cui ho accompagnato mia suocera alla visita medica per l’intervento che no, che palle – veloce digressione – non l’hanno ancora chiamata. Si intitola “Ivi e le sue sciocchezze” 17 pagine. Il protagonista adulto ricorda un Natale della sua infanzia e il racconto della nonna che era stata convocata in tribunale per fare parte della giuria popolare, nel processo a una donna che aveva ucciso il marito, forse per legittima difesa. La scrittura di Coe ha sempre una forte identità e la sua capacità di buttarci nelle famiglie inglesi conflittuali è immutata anche nelle prove di poche pagine. La donna viene assolta e il ragazzino quel Natale è convinto che il fantasma del marito assassinato si aggiri nella casa della nonna, per vendicarsi del suo voto di non colpevolezza. Il fulcro non è così strabiliante come quello di “Don’t look now” (che non vi ho detto) però secondo me è abbastanza incisivo.

I racconti davvero eccellenti forse sono rari. In un’antologia la maggior parte, anche se molto buona, tende a dissolversi in fretta, probabilmente proprio per la brevità dei testi. Prendiamo la Regina dei racconti, talmente una fuori classe da aver meritato il Premio Nobel: Alice Munro. Ho letto tre raccolte: “In fuga”, “Troppa felicità” e “Nemico, amico, amante…” Per una simpatica sincronicità anche Cristina ne ha parlato in questo post. Ebbene, mi spiace, ma nonostante ricordi perfettamente che nel momento della lettura li avevo adorati, ora a distanza di una decina d’anni, ne ricordo uhm, vediamoli insieme (non prendo i volumi, vado proprio a memoria). Quello della donna che deve spedire dei mobili, quello delle bambine stronze che annegano una compagna in piscina (qui ricordo anche il titolo “Bambinate”), quello delle ragazzette che vanno a cena con un miliardario che esige che stiano a tavola nude. Porca miseria solo tre! Immagino che se sfogliassi le raccolte mi basterebbe un’occhiata per far riaffiorare molto di più, ma adesso va così.

Non so perché, la mente fa come le pare, dei racconti magistrali e molto amati di Oscar Wilde invece ne rammento tanti, quasi tutti, nonostante li abbia letti alle superiori. Non so se non dimentichiamo i racconti che abbiamo preferito, o se la selezione sia più casuale, so che “Don’t look now” lo dovete assolutamente leggere se ancora non l’avete fatto. Io adesso me lo compro perché proprio non esiste che ogni tot di anni mi tocchi andare a prenderlo in prestito. Non può mancare nella libreria dei sogni: ha passato indenne le tristi fauci dell’oblio e si merita quindi una posizione privilegiata.

PS. Per Barbara, a un certo punto, all’inizio del racconto, le parole Edimburgo e Padova sono molto vicine (due pagine affiancate). Io te la butto lì.

Sincronicità

Questa settimana la psicologa, tra le varie cose, mi ha parlato della sincronicità junghiana, cioè il legame tra gli eventi. Intendo qualcosa di più complesso rispetto alla coincidenza di incontrare in vacanza qualcuno che conosciamo, anche lui/lei inaspettatamente in villeggiatura lì. Credo che questo sia capitato a tutti, a me personalmente un sacco di volte.

La terapeuta ha accennato a queste teorie, decisamente affascinanti, quando le ho detto che per gestire questo momento per me piuttosto triste in cui temo di essere al capolinea con la scrittura, ho smesso di seguire/cercare autrici famose – soprattutto di romance – su Instagram. Qui lei ha letteralmente urlato “ohhhhh, finalmente!”, ho poi aggiunto che, subito dopo aver abbandonato questa pratica voyeuristica masochista a tratti morbosa, si è aperto uno spiraglio del tutto inatteso che mi ha rallegrata. Ecco, questa è una vera sincronicità: l’opportunità magari era lì da tempo, ma io stavo incanalando male l’energia, e solo quando ho smesso di sprecarla su altre e l’ho utilizzata per me stessa ho potuto coglierla. In realtà si tratta soltanto di poter proporre due testi a un editore che ha la selezione delle candidature spontanee chiusa, e non accetta manoscritti, quindi è qualcosa di molto debole, però mi ha rimessa in moto.

Questa sera mentre guardavo In Onda, il programma de La 7 condotto da Concita De Gregorio e David Parenzo, lo studio si è collegato con Roy Chen, scrittore israeliano in vacanza in Toscana, affinché commentasse il terribile attentato di Tel Aviv in cui ha perso la vita un italiano. Ohibò, chi ha il romanzo di Roy Chen, la cui copertina viene mostrata a mezzo schermo, appoggiato sul bracciolo del divano?

Ma io! Oh, che fantastica sincronicità quella dei libri. Che dire? L’ho comprato al Book Pride, quindi giusto un mese fa, ed è l’ultimo dei quattro acquisti della fiera, in ordine di lettura. “Anime” questo il titolo, l’editore è la sempre mitica Giuntina, è un romanzo complesso, sicuramente molto bello ma non leggerissimo. Mi mancano un’ottantina di pagine e vorrei finirlo in questi giorni di Pasqua. Avrei potuto averlo già letto, oppure poteva essere lì, nella pila degli “ancora da leggere” sul tavolo sotto la finestra (ho in arretrato un giallo comprato a giugno dello scorso anno). Invece no, lo sto leggendo proprio adesso e me lo vedo in Tv, e non è, che ne so “Spare” o un qualche titolo del momento, no, è un’opera di cui si parla perché il suo autore può, come ha fatto, darci una visione importante per capire cosa sta accadendo in questi giorni nel suo paese. Non è mera pubblicità.

Al che, ho esclamato “come sono sul pezzo!” Sentendomi molto acculturata e figa. Ma anche immersa in un fenomeno sincronico che non può che generare emozioni.

E così tra sincronicità, onde d’urto per l’epicondilite, vacanzina sul Trasimeno annullata, glicine ovunque pure sui muri brutti, stanchezza e cibo consolatorio siamo arrivati anche a Pasqua.

Passa troppo in fretta questo tempo, cerco di spenderlo al meglio, di raccogliere il bello e capitalizzarlo, di circondarmi di persone che mi fanno stare bene, di accettare di essere anche triste e nervosa talvolta.

Comunque auguri a voi e grazie, gli ultimi post hanno generato un confronto molto piacevole e interessante e di questo vi sono profondamente grata.

Letture e felicità di marzo

Marzo, oh marzo è stato un gran mese. Come ho letto da qualche parte “nessuno farebbe la fila e pagherebbe per salire sulle montagne russe piatte” però ecco, insomma, anche meno, grazie.

I down si erano palesati già a febbraio e continueranno di sicuro anche in aprile: l’intervento di mia suocera (stando al pre ricovero avrebbero dovuto chiamarla in questi giorni ma niente), operazione in sé non così pesante (per quanto io sono della teoria che nessuna operazione sia mai banale) ma il motivo è invece importante; e la mia epicondilite a tratti molto dolorosa, dovuta ad aver incautamente e malamente portato una borsa della spesa troppo carica, per cui è scattato pure il mood “sono una cretina, mi odio!” Ho già fatto alcune Tecar e giovedì inizio le onde d’urto. In molti giorni mi sono sentita in un frullatore, il male al braccio, il trambusto delle visite di mia suocera e la sua giusta preoccupazione da gestire. Ho patito parecchio la Festa del papà (due giorni dopo oltretutto il quindicesimo anniversario della morte di mio suocero, che si chiamava Giuseppe) e sto davvero male per tutta la faccenda schifosa del mancato riconoscimento del secondo genitore nelle coppie omosessuali.

Come contropartita una giostra di incontri con amici che non vedevo da parecchio che si è conclusa il 29 con Barbara e Brunella a Milano in una giornata magica che era stata anche un po’ un faro nei tempi bui del lock down: finirà e verrete a mangiare al celebre ristorante che in quei giorni utilizzavamo per l’asporto. Grazie amiche di essere semplicemente voi e di esserci per me.

In tutto i momenti felici sono stati nove. Mi rendo conto che spesso le felicità riguardano ciò che si fa nel weekend, quasi sempre con l’Orso. Questo mese le deviazioni sono state la meraviglia della ricerca e dei ritrovamenti dei vecchi libri, di cui vi ho parlato, e la ripresa di slancio della psicoterapia, in realtà mai interrotta, ma ho avuto per diverse settimane una sensazione orribile a riguardo, come se si stesse perdendo tempo, ogni seduta generava rabbia, finché finalmente sono riuscita a parlarne e la psicologa ha risposto con efficacia ed empatia.

Letture, basta un’occhiata ai voti per capire su che livello siamo. I voti non sono assoluti, cerco di spiegarmi, 10 a Marzolina e magari – non qui – un voto più basso a un classico (nel 2021 ho dato 8 a La famiglia Karnowski) è che il voto è rapportato al genere, a quanto quel libro abbia saputo darmi, quindi c’è tutta una sfera emotiva assai personale, pure legata al momento contingente. Eccoli:

  1. La figlia dei fiori Jennifer Egan voto 10 Traduzione Vincenzo D’Antonio
  2. Marinella Super Gilda Musa voto 9
  3. Marzolina tutta pepe voto 10 Traduzione Ester Brinis
  4. Parlami Francesco Zani voto 10
  5. Il sangue delle bestie Thomas Gunzig voto 9 ½ Traduzione Francesco Bruno
  6. Ti seguo Sheena Patel voto 7 ½ Traduzione Clara Nubile

Il primo è una delle prime opere di Jennifer Egan, scovata usata al Libraccio, dopo aver letto e molto amato tutto o quasi (mi manca l’ultimo, aspetto che esca il tascabile) della Egan. Titolo simile a uno dei miei, con il quale condivide, che cosa singolare, il tour europeo della protagonista, con alcune città in comune, per motivazioni differenti. Qui abbiamo un viaggio complesso sulle tracce della sorella morta misteriosamente dieci anni prima a Corniglia, la meno visitata delle Cinque Terre (io ci sono stata! Yeah) partendo da S. Francisco nel 1978.E’ un romanzo magistrale, doloroso e autentico che ci parla ancora una volta di famiglie in cui conflitti e rapporti malati mietono vittime. Di una crescita personale complessa sulle orme di un lutto che ha stravolto tutti. Le città che conosco, come Amsterdam, sono descritte in maniera sublime, molto autentica. Questo romanzo è stato davvero una scoperta casuale e felice, una lettura totalizzante e immersiva.

Marinella e Marzolina hanno saputo restituirmi intatto il piacere straordinario della lettura dei miei dieci anni. Marinella, conservavo un’eco in tal senso, ha una famiglia snob che è il vero limite a un voto più alto, mentre Marzolina è pazzesca, credo davvero ancora godibile dai ragazzini di oggi. Io ho adorato ritrovale e connettermi con la Sandrina che Dio sia lodato non si è mai estinta.

Ho comprato Parlami perché si svolge a Cesenatico e in genere Fazi come editore è in linea coi miei gusti. Ho amato questo esordio pirotecnico di Francesco Zani che ci porta in uno stabilimento balneare (mamma mia, che ambientazione interessante per me) e nella casa di questa famiglia disfunzionale in cui il figlio minore Gullit arriva a incasinare qualcosa che era già estremamente fragile. La precarietà di un nucleo familiare allo sbando non regge la personalità di Gullit che comunica solo col fratello maggiore, voce narrante, e ha una tenerezza che mal si sposa con gli affari del lido (in Romagna si chiamano Bagni, so che altrove non è così, secondo voi Lido è il termine più nazionale? Chiedo) e la vita pratica. Ho adorato tornare sul mio amato Porto Canale, leggere di viale Carducci, la passeggiata dei negozi, in questo mio secondo tempo di amore romagnolo, dopo la sbornia della mia infanzia e adolescenza. Ma soprattutto ho amato la scrittura delicata di Francesco, la sua idea narrativa sensibile e composta, precisa, che sa tenere insieme parole e azione. Gli auguro tante soddisfazioni perché sembra pure una personcina brava-brava.

Che dire di Gunzig dopo aver amato follemente lo strepitoso Feel Good ? Chiaro che le aspettative erano elevate, c’è giusto un mezzo punto a distanziarlo appunto da Feel Good. Intatto il suo tipico surrealismo, le situazioni estreme calate in una quotidianità di generale appartenenza col carosello di inevitabile deflagrazione. Un cinquantenne vagamente depresso con una vita da cui non si aspetta più nulla soccorre una donna maltrattata convinta di essere una mucca, anzi vacca (mia grande curiosità sulla scelta del termine da parte del traduttore). Fisicamente è umana, ma lei dice di no, no, no, non è che si crede, lei è proprio una vacca. Quindi, per esempio, beve tantissima acqua, solleva pesi enormi. Chiaramente si innesca una girandola di situazioni assurde, Gunzig sa far ridere, tra chi le crede e chi la compatisce, mentre aiutarla non è facile, tanto per cominciare non ha documenti. Dissacrante, ecco io Gunzig lo consiglio proprio perché esce dagli schemi in una maniera sorprendente e molto arguta, mai pretestuosa.

E arriviamo a questo Ti seguo . Se si può comprare un libro per il traduttore, io l’ho fatto. Come da questo mese, e mi vergogno per non averlo fatto prima, i traduttori saranno citati nella lista. L’ha tradotto la mia amica Clara, ed è un’opera importante, di cui si è parlato molto, per me non sempre facile, pagine respingenti – il mio lato quacchero ha arrancato – alternate ad altre sublimi, magari anche solo per due frasi talmente accecanti di verità da giustificarne comunque la lettura. La protagonista, in una sorta di flash narrativo non del tutto lineare nella costruzione, è ossessionata da una donna, che ha (avuto) una relazione con l’uomo (sposato) con cui lei vorrebbe stare, che si scopa di tanto in tanto. Ossessione che vive delle pagine dei social che lei sfoglia di continuo, trovando delle pecche oscure, arrivando a plasmare la propria quotidianità su quella dell’oggetto del suo tormento. Fantastica è la vendita organizzata dalla donna, dove lei va senza potersi permettere di comprare nulla, cosa che getterà una luce miserabile su di lei, e la donna poi non c’è, ma su Instagram scriverà qualcosa tipo “che bello avervi visti!” Ma se manco c’era? L’esposizione mediatica, il voyerismo di cui tutti siamo vittime, la morbosità di seguire qualcuno per giudicarlo, l’attrazione compulsiva verso chi invidiamo e poi odiamo e poi critichiamo. Il sommo godimento di crederci superiori mentre siamo solo meschini. Tanta roba.

Marzo finisce, mi lascia un po’ sfinita, ma anche con parecchi sorrisoni indelebili. Grazie a chi è arrivato in fondo a questo post.