Enrica!

Sono anni che vi parlo della Formica, pubblicai il bando per cercare un editore qui nel blog a gennaio 2017, credo quindi che questo albo parli davvero di tenacia. Mi sono lagnata tante volte e anche ultimamente l’umore relativo all’uscita di questa opera non era quello che dovrebbe essere. Tuttavia quando ho visto e soprattutto ascoltato la voce del video che trovate in fondo a questo articolo (cliccate e guardatelo, non vi porterà via molto tempo, grazie) mi sono proprio emozionata. Una voce simpatica, per me con forte cadenza anglosassone ma l’Orso dice di no, che racconta Enrica significa avere un riscontro diverso da trovare i propri libri su Amazon, anche in libreria certo e alle fiere, perché non sono più io a parlarne, Enrica è nel mondo.

Il libro uscirà il 30 maggio, quando io sarà in vacanza all’estero. Ogni domenica però dal 5 maggio al 2 giugno Land Magazine proporrà un articolo su Enrica. Vi chiedo uno sforzo in più, se potete settimanalmente cercarlo, io lo linkerò più che posso, e conviderlo nei vostri social, anche whatsApp, perché sette anni di attesa meritano una vasta  diffusione anche solo per dire “Sandra, non ti sei arresa!” e ho bisogno di tutti voi. MAGAZINE-FACEBOOK-26-1024x871

L’editore ha scelto di utilizzare la parola “perseveranza” senza essere a conoscenza di quanti siano stati gli anni in cui La formica che vuole fare la cicala è stata solo un progetto tra la mia fantasia e i colori di chi si è avvicendato a illustrarla (due prima di Roberto Ghizzo che è il papà di Enrica), quindi la mia vita e quella di questa adorabile formichina si sovrappongono.

Enrica come sapete non sarà al Salone, ma spero che possa arrivare comunque lontano. Se siete genitori, zii, insegnanti, se avete cuginetti, figli di amici e bimbetti nel vostro giro prendetela in considerazione. Grazie di cuore a chi vorrà accoglierla.

Verso il Salone

Dal 9 al 13 maggio si terrà il Salone del libro di Torino che, come sapete, per me è una festa. Sono andata, la prima volta nel 2011 e ho saltato solo il 2013 perché stata per arrivare Natallia; ovviamente non fu fatto nel 2020 e nel 2021 ci fu un’edizione speciale ridotta e con mascherine ma per me bellissima in ottobre. Gli ultimi due anni sono stati condizionati (anche) dal cambiamento climatico: nel 2022 un caldo atroce, biglietterie in tilt e una ragazza accanto a me che svenne picchiando la testa, l’anno scorso – al contrario – freddo e alluvioni che impedirono al mio editore di Forlì di esserci.

E quest’anno?

Quest’anno ahimè si parte maluccio. Dei due libri in uscita con profusione di promesse affinché fossero pronti per il Salone, uno è quello di cui vi ho parlato nel penultimo posto, la situazione non si è sbloccata, il confronto con la persona che se ne occupa ha portato solo rabbia e frustrazione, con la conclusione che forse mi avviserà il giorno 8 arrivata a Torino se ci sono le copie (cioè lo deve verificare il loco, a me pare assurdo), alla peggio lo saprò io domenica quando andrò. Con un piglio decisamente antipatico (dubito che legga questo post ma non mi interessa) mi è stato detto che in ogni caso non potrò stare dietro il banco con gli autori. Per quanto riguarda Enrica la formica invece, in ritardo che manco i treni regionali, mentre attendevo la conferma che sarebbe uscita appunto per il Salone, quando l’ultimo messaggio era stato “facciamo in tempo!”, mi è arrivata una mail il 29, letta alla fermata del bus uscita dal dentista, che l’editore addirittura non sarà al Salone. Cosa? Si noti che è pure di Torino. Ma soprattutto non puoi dirlo agli autori quando mancano solo dieci giorni. A prescindere dal Salone arrivare così a una pubblicazione non è il massimo.

Elaborate in qualche modo le notizie deprimenti, con l’unica certezza che ci sarà sempre Quanto basta per essere felici a fare felice pure me, sto studiando cartina ed espositori per evitare di farmi sopraffare dalla fiera, anche se poi, una volta lì, spesso la propria personale programmazione è destinata ad andare a ramengo dieci minuti dopo essere entrati. Con me ci sarà come ogni anno l’Orso, a volte son venuti degli amici, questo giro no. Giocheremo a chi vede più persone famose (e ne ricorda il nome che a volte e tutto un “caspita lo conosco ma chi è? Come si chiama?”), recupererò i libri di autori amici virtuali, saluterò con molto piacere i miei editori preferiti che si ricordano di me, e poi boh, sarà quel che sarà.

In realtà ho anche un appuntamento con un altro editore che ha apprezzato un mio romanzo inedito, scritto addirittura nel millennio scorso, riscritto più volte, che ogni tanto propongo. Aver messo a segno questo incontro giusto oggi mi ridà un po’ di slancio: ero davvero sfiduciata nei confronti dell’editoria. Ho smesso da tempo di pensare ai numeroni, alla popolarità, alle big, ma desidero trovarmi bene con chi mi pubblica, come era con goWare, i cui libri vendono ancora dopo tanti anni (ho appena ricevuto un piccolo bonifico), e come sono attualmente soddisfatta di Plesio, ma entrambi, per ragioni differenti, non pubblicheranno le mie nuove storie e questo – a meno di chiudere definitivamente – mi obbliga a una perenne ricerca.

Tornando alla giornata al Salone vera e propria, nella colossale baraonda in cui vorrei comprare quasi tutto (un anno all’uscita ci hanno fermato per chiederci se fossimo espositori da tanti volumi avevamo), con una nuova direzione e gli immancabili editori a pagamento, il prezzo del biglietto aumentato con le riduzioni non valide nel weekend, il che non facilita assolutamente l’avvicinarsi alla cultura da parte di famigliole se pure i ragazzini pagano il prezzo pieno, i libri continuano a salvarmi la vita e sono fiera di non aver subito, come molti, quel calo di attenzione per cui concentrarsi sulle pagine per più di dieci minuti diventa impossibile. Per questo il Salone rimane un luogo che amo: migliaia e migliaia di possibilità di rinnovare la felicità!

Qualcuno ci andrà la domenica?

Letture e felicità di aprile

Estraggo il libretto delle felicità dal cassetto e mi rendo conto di non aver segnato neppure una data per aprile! Sì, ad aprile non sono stata molto felice, ma inserisco la retromarcia nel cervello e scovo qualcosa: aver prenotato due settimane di vacanza in Grecia ad agosto a un prezzo accettabile dopo parecchi sbattimenti, uscire dalla metropolitana nel centralissimo e assai decadente corso Buenos Aires, svoltare l’angolo in una via sconosciuta per andare a un evento libresco promettente e scoprire, sotto un cielo blu rarissimo per Milano, un incrocio incantevole e del tutto diverso dal corso che mi sono lasciata alle spalle. Una meraviglia proprio di locali e vecchie botteghe. Tornare ad andare più regolarmente dal parrucchiere, e il teatro certamente. Purtroppo anche cose che sulla carta parevano destinate al diario invece no: il firma copie a Vercelli è stato deprimente e c’è voluto uno sforzo notevole per trovarne i lati positivi, le cose scrittorie sono state spesso un disastro che si riversa su maggio col Salone. Sigh.

Però ho un bell’elenco di libri anche questo mese:

  1. Un dolore così dolce David Nicholls Traduz. Massimo Ortelio voto 10
  2. I Nobel per la letteratura si raccontano AA VV voto 7
  3. Il talento di Mr Ripley Patricia Highsmith voto 9
  4. Sui tuoi fianchi Arianna Ciancaleoni voto 7
  5. La caduta della casa degli Usher E.A. Poe Traduz. Gabriele Baldini voto 8 Racconto
  6. L’amore e il dolore Eva Giusti voto 6 ½

“Un dolore così dolce”e scavalca tutti e diventa il miglior libro letto quest’anno, e dire che mi stava sfuggendo. E’ andata così: in rete vedo che sta per uscire il nuovo libro di David Nicholls di cui sono fan della primissima ora, e penso “strano, non ha pubblicato più nulla dal 2019…” googlo e trovo questo romanzo, che mi era sfuggito, forse uscito in Italia in tempi pandemici, l’ho prenotato in biblioteca e ritirato la mattina del sabato di Pasqua ed è quindi diventata la mia meravigliosa lettura in hotel, nella pioggia, in particolare appena arrivati (quando poi l’Orso mi ha fatto lo scherzo della camera) e la mattina di Pasqua con uno spettacolare aperitivo prima del pranzo. L’ho adorato, la scrittura, la storia di Charlie, un ragazzetto anonimo nell’estate che si concluderà con la morte di Lady D., che sceglie di non proseguire con gli studi al college, ha una famiglia disastrata, e si imbatte per caso in una sgangherata compagnia teatrale destinata letteralmente a risolvergli i mesi di vuoto quando oltretutto combina un casino coi suoi amici che lo escluderanno dal gruppo. E’ una commedia umana e amara sul primo grande amore, su quel sentirsi sempre fuori posto che io ho provato, sui libri, sulle risorse che non pensiamo di avere e invece frantumano i giorni bui. Bellissimissimo!

L’antologia sui Nobel è un acquisto dal solito senegalese fuori da Garabombo e alterna pagine piuttosto pesanti a frasi qua e là di verità assoluta sul potere delle parole, sulle origini spesso poco scoppiettanti di chi poi ha saputo arrivare al massimo riconoscimento.

Del “Talento di Mr Ripley” ho già parlato, quindi sapete mentre “Sui tuoi fianchi” è un buon romance che ho scaricato gratuitamente, cosa che faccio quando ci sono questo genere di offerte da parti di case editrici e/o autori che desidero tenere d’occhio. Niente di wow ma si fa leggere se amate il genere.

Uh, su “La caduta della casa degli Usher” c’è tanto da dire: la scena è questa, Orso sta guardando l’omonima serie Netlix, io sto leggendo e butto un’occhiata ogni tanto, mi respinge e attrae allo stesso tempo e, di sicuro, mi incuriosisce. Googlo, vedo che è tratta da un racconto di Poe, è a 99 cent, lo scarico e leggo subito. Scritto divinamente, insomma è Poe, poi vabbeh io con l’horror proprio no. Però la serie ha del genio, gli otto episodi ricalcano e hanno i titoli di altrettanti racconti come “Il gatto nero” e “Rue Morge” mentre la trama di fondo è un’azienda farmaceutica che commercializza un farmaco immaginario il Ligodone, che darà dipendenza e causerà la morte di migliaia di persone. Molto avvincente, anche se appaiono regolarmente fantasmi e c’è tanto sangue per cui non è per tutti, depurata da questo sarebbe davvero una storia pazzesca.

“L’amore e il dolore” l’ho letto spalmato su più mese e concluso ad aprile. Ammiro Eva Giusti, ero stata alla presentazione a ottobre, eravamo blog amiche da anni, ci sono ancora i suoi commenti qui nel blog, ma parliamo di una decina di anni fa. Si ricordava comunque di me a abbracciarla è stato stupendo, tuttavia oltre a non amare i momoir, e questo suo secondo libro lo è, e per quanto io riconosca che la vita di Eva sia straordinaria, trovo che spesso le conversazioni quotidiane coi figli perdano di fascino sulla carta, sono tirate un po’ in lungo e mi spiace davvero dire che mi ha parecchio annoiata.

Così aprile è alla fine, oggi, dopo giorni invernali, pare che la temperature e il sole siano quelli giusti del periodo, stasera abbiamo un aperitivo con la famiglia della twin e questo mi rende molto felice. Domani è il 1° maggio e mando un abbraccio caloroso ai lavoratori, mentre vi avviso che la prossima puntata di questa rubrica arriverà in anticipo poiché a fine maggio faremo una settimana di vacanza all’estero.

“Le cene per ritrovarsi” sta per arrivare

Da un cortile degli anni ’70 sette amici dell’epoca si ritrovano ai giorni nostri una sera al mese per una cena. Si tratta di un torneo, ogni volta un amico sceglie un locale differente e si vota: un modo per stare insieme divertendosi.
Durante la prima cena, quella di settembre, Luca, il Casanova, porta Fabiola, un’insegnante che ha lasciato la provincia dopo la fine della sua convivenza, alla ricerca di una nuova vita.
Da quella cena conosciamo il gruppo, il passato di ognuno e entriamo in sintonia con le loro particolarità. Le cene per ritrovarsi sono quelle delle rimpatriate, tappe comuni a molti, nel percorso di evoluzione, spesso ricco di rimpianti e scelte anche dolorose, che tutti viviamo.
Lettura di intrattenimento in bilico tra dramma e ironia ci racconta il valore dell’amicizia, di quando si è fatti per camminare dallo stesso lato della vita, nonostante tutto, della fatica, degli inciampi e della meraviglia di ogni ripartenza.le-cene-per-ritrovarsi-EBOOK

Eccole qua, trama e copertina del mio romanzo che sarà pubblicato a breve. In realtà doveva già essere uscito oggi, forse qualcuno ha fatto in tempo a leggere il post prima che lo modificassi, ma c’è stato un disguido (mi viene da dire: te pareva!) e l’editore mi ha chiesto di bloccare il tam tam e al momento il libro è stato tolto dal sito.

Mi scocciava cancellare il post, intanto iniziate a farci amicizia, poi vi aggiornerò coi vari link. Grazie!

L’ossessione per Ripley

Nelle ultime settimane sono stata vagamente ma assai piacevolmente ossessionata da Ripley, grazie alla serie Tv Netflix che ho visto appena uscita è che ho davvero gradito tanto. Si è in realtà trattato di un ritorno di fiamma: ho letto parecchio di Patricia Highsmith, soprattutto negli anni ’90, ma non “Il talento di Mr Ripley” che ha ispirato la serie. Avevo invece già visto il celebre film, non quando uscì, bensì quando ci siamo abbonati a Netflix, un paio di anni fa.

Questo post non vuole essere un’analisi completa, neanche incompleta a dirla tutta, delle tre opere messe a confronto, bensì fornire una serie di flash molto personali. L’opinione generale in rete è che la serie sia molto più vicina al libro, rispetto al film. Sono d’accordo ma non proprio al 100%. La base è fedele sia nel film di Minghella, regista da me moltissimo amato per “Il paziente inglese”, che nella serie ed è nota: un ricco americano assolda Tom Ripley, un tizio un po’ sordido che vive di espedienti con notevole ingegno, per andare in Italia a convincere suo figlio Richard a tornare negli Stati Uniti date le precarie condizioni di salute di sua moglie. Tom rimane affascinato da Richard, lo invidia al punto di ucciderlo per rubargli l’identità, e quindi anche gli ingenti capitali, arrivando e farla franca dopo aver commesso un secondo omicidio. La Highsmith eleverà poi Tom a personaggio seriale.

Ora, l’avvio della storia è sì, molto più simile al libro nella serie Tv che nel film, ma neppure la serie l’ha trasposto uguale. Il finale no, sebbene nella sostanza come ho detto Tom non verrà mai scoperto, i finali sono tre visioni diverse del futuro a indagini concluse, né la serie ma neppure il film raccontano le ultime pagine dell’opera letteraria, i registi hanno abbondato in voli fantasiosi, molto ben calati nella trama originale. Se avessi letto prima il libro probabilmente avrei li avrei guardati con l’intento, come sempre si fa, di vedere quanto fossero attinenti, ma focalizzandomi su un inutile raffronto mi sarei persa qualcosa. Ho terminato la lettura ieri, e la prima cosa che mi ha colpita è che una parte del film molto ben riuscita, cioè il personaggio le vicende intorno a Meredith Logue che appare nelle prime scene quando Tom è sul piroscafo che lo condurrà in Europa, sono del tutto inventate, quindi laddove un testo offre talmente tanti dettagli da poter diventare una serie, non lunghissima ovvio ma sempre più di un film, si è deciso addirittura di aggiungere qualcosa di sostanzioso. Non ci ho visto alcun oltraggio; spesso le trasposizioni deludono i lettori, sono monche, troppo lontane dall’immaginato e dallo scritto, pretestuose, si impossessano di trame geniali per maltrattarle. Qui no, tutto ciò che di inventato c’è, ed è parecchio, è un omaggio al talento della Highsmith, uno sguardo da una diversa angolazione a cui mi inchino. Il gioco del “trova le differenze” potrebbe essere infinito: Tom nel film, un magistrale Mat Damon, è simpatico, nella serie Tv più vecchio e odioso; Tom e Marge (fidanzata di Ricky) nel film diventano amici, nella serie Netflix lei lo detesta; fisicamente Freddy Miles nel film è assai più somigliante alla descrizione di Patricia Highsmith, lontanissima dalla versione serie Tv. Il personaggio di Peter Smith Kingsley nel libro è poco più di una comparsa, nel film ha un ruolo chiave soprattutto nel finale.

Elemento comune di enorme fascino è l’Italia, una narrazione coinvolgente, dalla fotografia in bianco e nero super dettagliata della serie Tv, alle pagine del libro così pregne di significativa italianità anni ’60, un’Italia stereotipata ma in fondo vera, fino ai colori caciaroni del film che ha anche Fiorello nel cast. Il film ha mantenuto l’ambientazione di Mongibello, località inventata sulla Costiera amalfitana o sorrentina, mentre nella serie Tv Ricky Greanleaf si trova ad Atrani e le puntate sono girate proprio lì, se ne riconosce l’iconica composizione ad archi che fa da cornice al borgo a picco sul mare. Roma, Palermo e Venezia sono scenari scoppiettanti in grado di urlare tutta la dirompente bellezza del nostro paese, davvero il più bello del mondo. Resta un mistero perché Palazzo San Felice, situato a Napoli nel rione sanità e già visto in altre pellicole tra cui Gomorra, nella serie è stato spostato a Palermo: si tratta di un edificio ben riconoscibile a finestroni e questa licenza mi ha un po’ disturbato.

Non appena ho concluso la visione della serie, ho rivisto il film, e subito dopo ho letto il libro; è stato un  processo immersivo totale, ho apprezzato che Minghella e Zaillian abbiano messo tanto di loro nel rielaborare la sceneggiatura, perché come ho già detto, sono stati talmente bravi da non infastidire con un’operazione che, se fatta male, sarebbe stata solo un’invasione di campo: non è da tutti. Ma sopra a loro rimane Patricia Highsmith, così immensa da donare al mondo una storia in cui poter leggere davvero tra le righe, in quegli spazi che il bravo autore sa lasciare, affinché ognuno completi la finzione con le proprie suggestioni.

Eccomi

Finalmente torno nel blog. Ci eravamo lasciati 15 giorni fa, di ritorno dalla breve e piovosa ma molto felice vacanzina pasquale; e poi?

Il giorno dopo, ma io l’ho saputo la sera in una maniera piuttosto assurda, mentre aspettavo il tizio che dovrà restaurarci il pianoforte, che poi non ha potuto portarlo via perché se l’era immaginato più leggero e da solo era impossibile. (Appena l’ho visto solo ho pensato “ma chi è? L’incredibile Ulk?” E gli ho chiesto come pensava di farcela.) Comunque ho appreso che è mancato il proprietario dell’azienda per cui lavoro da 25 anni. E’ stato un colpo. Si tratta della classica ditta padronale da lui fondata e anche se ora siamo un’ottantina di dipendenti in diverse sedi tra cui una fuori Londra, col suo solito spirito imprenditoriale ha aperto una filiale dopo la Brexit, unica agenzia doganale italiana nel Regno Unito, era rimasta una realtà familiare nel bene e nel male. Ho deciso di andare non solo al funerale giovedì ma anche alla camera mortuaria mercoledì e sono stati due giorni davvero emotivamente molto duri.

Sto portando avanti una valanga di cose scrittorie che si sono accavallate come non mai, oltretutto nei giorni in cui lavoro, tuttavia tra ieri e oggi ne ho chiuse alcune per cui ve le racconto. Ho dato il visto si stampi, cioè l’autorizzazione a procedere dopo la bozza definitiva, sia al romanzo che all’albo della formica, entrambi dovrebbero quindi essere presenti al Salone. Per motivi diversi sono stati due processi molto complessi. Con l’ultimo editing del romanzo c’è stato un problema grafico nel trasferimento dei file, risultato: tantissime parole con la prima lettera staccata dal resto, in più mi è arrivato proprio quando ero al funerale e nel pomeriggio non ero in condizioni di lavorarci, comunque ho iniziato perché i tempi erano stretti. La successiva rilettura delle 200 pagine già impaginate, pagina per pagina partendo dal fondo in modo da rilevare eventuali refusi rimasti dopo la correzione di bozza dell’editore o altro senza farsi condizionare dal contenuto, è stata proprio faticosa, ma ho stanato ancora una trentina di cose da modificare. La formica invece non ci soddisfaceva mai, non eravamo proprio in sintonia con il grafico, per cui io e l’illustratore abbiamo dato il visto alla quinta versione. Ho scritto su Instagram che nella prossima vita non voglio più mettermi in fila quando distribuiscono la passione per la scrittura da tanto ero sfinita.

Non vi ho detto che mi sono iscritta al celebre torneo Io Scrittore! E’ giunto nella fase calda e il giorno 11 ogni partecipante ha ricevuto 12 incipit da valutare. Incipit = le pagine iniziali che almeno le mie variavano da 38 a 50 ognuno; un bel po’ di roba da leggere. Ho tempo fino al 4 giugno ma ho già concluso stasera. Adesso dovrebbe essere tutto in discesa fino a luglio. Il mio romanzo è già terminato. Non sono neppure certa che farò un’ulteriore revisione, ammesso di passare alla seconda fase, prima di caricarlo sul portale, forse più avanti, adesso sono cotta.

Letture e felicità di Pasqua

La settimana santa è stata di vera passione: pioggia e malinconia dovuta al fatto che, scusate se ogni anno tiro fuori sta cosa, mio padre è morto il giorno di Pasqua.

Giovedì sera, avvolta in una tristezza cosmica, ho deciso di interrompere la lettura del libro in corso e leggere il primo della lista che segue, sono meno di 100 pagine e l’ho concluso. Ho ritenuto che scegliere libri corti da leggere in poche ore per abbassare di qualche volume la pila dell’arretrato potesse essere confortante. Ho fatto lo stesso con il N° 2 dell’elenco, letto nel pomeriggio di venerdì, anche lui preso al Book Pride. Nel mentre però ne ho preso uno in biblioteca, quindi lo smaltimento procede con qualche difficoltà ma procede. Il libro della biblioteca si è poi rivelato bellissimo, è stato la mia lettura pasquale a tutti gli effetti, ma non avendolo concluso (sono 380 pagine e ne ho lette comunque metà) paradossalmente non può rientrare in questo elenco anche se di fatto ci dovrebbe stare.

Fuori dalla finestra: novembre. Ma vediamo i libri.

  1. Whodunit, Conte? Delitto a La beauté Paolo Mugnai voto 8
  2. Lo strampalatissimo diario di Cenerentola Marco Rosso voto 9

Il primo è un giallo classico, la parola Whodunit è la contrazione dei Who has done it? Cioè chi l’ha fatto? Che in inglese identifica il genere thriller. Albergo avvolto nella neve, ospiti che simpatizzano e si azzuffano e poi trac, inevitabilmente ci scappa il morto. Ben scritto e ben congegnato nell’intreccio, precisi alibi, moventi e colpi di scena, è una lettura molto gradevole da completare tutta di fila, cento pagine scarse lo permettono, magari in viaggio, oppure come ho fatto io in tempo da scandire per allontanare brutti pensieri e concentrarsi sull’indagine. Probabilmente, per quanto allungare il brodo non sia una pratica che caldeggio, l’avrei comunque arricchito un po’, con qualche approfondimento, magari un personaggio in più, proprio per dargli una corposità che l’avrebbe fatto aderire meglio alla dimensione di romanzo.

Un altro diario strampalatissimo, il primo lo trovate nel post sotto questo, che consiglio sempre ai giovani lettori o a chi, come me, non disdegna di tornare ragazzino – almeno mentre si legge – di tanto in tanto. L’idea di questi diari misteriosi dove personaggi celebri si raccontano in situazioni che si collocano perfettamente nell’immaginario collettivo di quanto già sappiamo, ma sono allo stesso tempo nuove, è davvero notevole.

Venerdì uno scambio di vocali augurali con Francesca che ringrazio di cuore (che tra me chiamo Francesca Belgio, perché conosco un sacco di Francesca), mi ha inaspettatamente aiutata a prendere il bisturi e tentare di squarciare la sofferenza. Francesca mi ha detto “non so se quando tuo padre è morto voi eravate in buoni rapporti!” Sì, lo eravamo, ma no, non lo eravamo stati per lungo tempo in precedenza. Allora mi dicevo “vedi, che ci siamo lasciati bene.” E pensavo e ripensavo alla terapia che si era focalizzata tanto su questo, finché sabato mattina poi, sotto la doccia in lacrime mentre ancora ci pensavo “non è servita a cavolo la terapia se ancora sto così male” finalmente lo squarcio ha lasciato entrare la luce: nessuno mi aveva garantito che non mi sarei mai più sentita triste, ma, prima della terapia io oltre a così mi sarei sentita anche in preda alla nausea, invece no, e in seconda battuta mi sono detta “ehi, stai per andare in un albergo fighissimo sul lago d’Orta, non in ospedale!” Da lì tutto è stato bello e felice, tranne ovviamente il meteo che è stato assolutamente da lupi, con il lago sempre più alto sotto di noi, con il balcone inutilizzabile, con la passeggiata impraticabile, con i lampi che illuminavano a giorno la vetrata durante la cena, con l’aperitivo nella hall, anziché in terrazza.

C’è stato anche un mega scherzo da parte di mio marito, che vado a raccontarvi.

Siamo arrivati in hotel verso le 15.30, check in e in camera brrrr un freddo cane. Alziamo il riscaldamento e scendiamo a bere qualcosa, ci portiamo i libri, e il tempo passa assai piacevolmente. Verso le 17.30 Emanuele risale, io decido di fermarmi ancora una mezz’oretta. Alle 18 scampanello alla porta (mai visto un albergo con i campanelli fuori da ogni stanza, ma lì ci sono), niente, busso, niente, dico “ORSO ORSO ORSO” finché si apre un’altra porta, poco prima nel corridoio. Esce lui e dice “Ma cosa fai? Guarda che siamo alla 152!” Io gli ho risposto seeee siamo alla 154, ricordavo perfettamente il numero sulla chiave (quelle di metallo, non magnetiche), e che era l’ultima del corridoio oltretutto. Entro nella 152, mi sembra un po’ boh strana, mi guardo in giro, osservo che forse il letto era dall’altro lato, butto un’occhiata in bagno e c’è lì il mio deodorante appoggiato proprio come l’avevo lasciato, insisto un po’ con il 154, che avevo pure detto al bar per segnare le consumazioni, Emanuele dice che forse non sto bene, io vacillo, gli chiedo se ci abbiano cambiato camera e lui… estrae due chiavi la 154 e la 152, perché sì, nella 154 il riscaldamento proprio non funzionava e quando era tornato era ancora gelida per cui era sceso in reception (e io non l’avevo visto, immersa nel libro) ed erano saliti a controllare e detto che assolutamente ci cambiavano la camera. Morale lui si è portato tutte le cose da solo, la receptionist si era offerta di dare una mano, senza dirmi nulla perché subito gli era venuto in mente di farmi sto pesce d’aprile in leggero anticipo.

Io che di gialli ne ho letti un sacco, ricordavo la storia di due case identiche per cui i protagonisti venivano trasportati nell’altra dimora quando dormivano di notte e affacciandosi dalla finestra la mattina dopo vedevano un panorama diverso con grande sconcerto. Ecco, mi era sembrato di essere in una situazione del genere. Così io e l’Orso marito siamo tornati nella 154 che in effetti era speculare, ecco perché mi era sembrata strana, e ho visto anche la differenza nel bagno, che non avevo notato perché nella 152 avevo gettato giusto un’occhiata senza entrare, ma sarebbe stata rivelatrice: wc in un’altra posizione.

Insomma, in questa Pasqua sono stata molto felice. Ho avuto la conferma che per esserlo tocca volerlo, impegnarsi ad attraversare le tempeste emotive andando fino in fondo, che ottimo cibo e vino di sicuro aiutano, che è giusto e salutare concedersi delle vie di fuga, che vivere con leggerezza – non sapete quanto era soddisfatto l’Orso del suo scherzo – è sempre una buona idea.

Letture e felicità di marzo (esclusa Pasqua)

Marzo è stato un po’ un copia incolla di febbraio: letture quasi sempre molto coinvolgenti, momenti belli più che felici (però tanti-tanti!), tristezza di fondo e addirittura lo stomaco in tilt la stessa notte a febbraio e marzo. Eh sì, sia a febbraio che a marzo il primo giorno in cui ho cominciato a stare a casa per il mio part time ha pure iniziato a diluviare ed è tornato il freddo. Un po’ tedioso. Non lo faccio mai ma vi lascio un elenchino di felicità prese dal libretto:

Giorno: 2 aperitivo in un posto nuovo + spettacolo teatrale divertentissimo con risate fino alle lacrime, 3 concerto della domenica + flamenco, 6  pranzo nel nostro ristorante milanese preferito con Orso + merenda da St. Ambroeus, una delle pasticcerie più prestigiose di Milano sempre con Emanuele e si è aggiunto Nanni (sono sempre felice di stare con Nanni!), 8 Book Pride, fiera stupenda, sono andata per la prima volta da sola, ho preso ferie, sono rimasta circa due ore e mezzo, incontri e libri che mi hanno dato un’energia importante e una bella carica, 9 amici a cena da noi, non li vedevamo da parecchio, 10 concerto della domenica direi uno dei migliori con la musica indiana e la scoperta di uno strumento musicale l’handpan, 13 aperitivo improvvisato con l’Orso uscito presto dal lavoro dal panettiere sotto casa di mia mamma che è diventato anche bar molto carino, 16 amici a cena da noi, abbiamo giocato a una specie di “nomi-cose-città”, 17 ultimo concerto musiche tra le altre di Morricone e pranzo dalla twin con recupero Natale, 23 aperitivo al Ginrosa, decretato locale migliore per l’aperitivo pre-teatro e spettacolo “Uomini e topi” avevo letto il libro, ottimamente messo in scena, Steinbeck, che reale tuffo al cuore!

Forse lo spataffione non è molto adatto al post che così diventa ancora più lungo. Questa rubrica mi sta sfuggendo di mano. E’ evidente che la felicità o perlomeno le cose belle sono prevalentemente conviviali, cibo o teatro.

Inizio col dire che il primo libro qui sotto è al momento il più bello del 2024!

  1. Tomorrow, tomorrow and tomorrow Gabrielle Zevin Traduz. Elisa Banfi voto 10 
  2. Avere tutto Marco Missirioli voto 7
  3. A chi vuoi bene Lisa Gardner Traduz. Daniele Petruccioli voto 9
  4. A cena con l’assassino Alexandra Benedict Traduz. Riccardo Ferrigato voto 7
  5. Esordienti da spennare Silvia Ognibene voto 7
  6. Lo strampalatissimo diario di Dracula il Vampiro Luisa Carretti voto 9
  7. Il sogno nel cuore Dave Given voto 6

Ho voluto proprio tanto bene ai tre amici protagonisti di Tomorrow ecc. Sam e Marx, un po’ meno a Sadie. Sono 400 pagine di rara efficacia narrativa laddove i video giochi hanno un ruolo importante e anche chi, come me in fondo non ci ha mai giocato tanto, non si è sentita esclusa né annoiata. Gli anni ’90 come patrimonio collettivo, l’integrazione, legami saldi che si sbriciolano in un attimo per poi tornare più forti di prima. La vita come un’eterna e spesso estenuante prova di resistenza in cui tocca trovare alleati come Sam, Sadie e Marx lo sono l’un l’altro nonostante non siano immuni dal ferirsi. Quando lo leggevo sono rimasta profondamente dentro le pagine, isolata dalla bruttura del mondo intorno, per questo non posso che consigliarlo con forza, perché è una lettura totalizzante di cui potremmo avere sul serio bisogno.

Consigliato dalla cara amica Brunilde/Brunella “Avere tutto” non mi ha convinta fino in fondo, forse, cioè di sicuro, non avevo voglia di leggere un romanzo su un padre in fin di vita, ma mi ero focalizzata sul fatto che si svolge a Rimini e Rimini è stato l’elemento migliore. Leggere di Piazza Tripoli o dell’Embassy è stato riportarmi lì, e il potere evocativo è comunque qualcosa di bello per cui sono contenta di averlo letto.

“A chi vuoi bene” è rimasto il lista come libro da leggere tipo dieci anni! Avevo apprezzato il suggerimento di Chiara Beretta Mazzotta che mi è girato in testa a lungo, fino a quando l’ho preso in biblioteca (anche i due precedenti sono della biblioteca). Se cercate un buon giallo non convenzionale fa al caso vostro! Una poliziotta si ritrova col cadavere del marito, la figlioletta scomparsa e un’accusa di omicidio, ma fin dall’inizio non si può non fare il tifo per Tessa Leoni, in un guaio enorme, tra sangue e neve e mille cose che non tornano. Davvero avvincente, traduzione un po’ così, ho perso il conto di quante volte sia stato scritto “d’ordinanda” pistola d’ordinanza, ecc, che miii o trovi un sinonimo o puoi anche omettere, tanto si sa che appunto la pistola era la sua ecc. Toccherà farlo presente a Marcos y Marcos.

E’ invece un thriller classicissimo “A cena con l’assassino” e ricalca, forse involontariamente, con la stessa filastrocca di Natale che fa da canovaccio, uno dei miei gialli preferiti di sempre, ovvero l’amatissimo (oh, che figata è recuperare il volume salendo sulla scaletta della libreria dei sogni per controllare alcuni dettagli) “Colpo di grazia” di Ellery Queen (in caso vi interessasse, ho visto che si trova tranquillamente in vendita on line nell’usato per pochi eurini, pensateci!). Il gioco di Natale che per anni ha caratterizzato il periodo di feste degli Armitage diventa più feroce quando, alla morte della zia, il premio diventa proprio l’antica dimora di famiglia dove si tiene la sfida. L’atmosfera va detto che c’è e di solito è qualcosa che mi piace parecchio poi però la trama è sfilacciata, lo stile pretestuoso, frasi buttate lì senza senso, e l’ispirazione diventa scopiazzare cose già viste (la solita nevicata che impedisce di andare alla polizia) quindi rimane solo la curiosità di conoscere l’assassino che peraltro si indovina pure. Sopravvalutato.

Il N° 5 è un piccolo manuale edito Terre di mezzo, comprato dal solito ambulante senegalese fuori da Garabombo. Nonostante molte informazioni sugli editori a pagamento siano ormai superate, il libro è uscito nel 2003, rimane una lettura simpatica per chi come me si è imbattuto più volte in queste proposte indecenti, dure a morire anche oggi.

Si legge in un paio d’ore forse meno il delizioso libro per ragazzi che fa parte di una serie di diari strampalatissimi di personaggi famosi, illustrazioni molto belle, divertente e con una coerenza narrativa di valore, lo consiglio ai piccoli lettori ma anche a chi, come me, ogni tanto vuole rilassarsi e ama ancora i libri per l’infanzia. Copertina rigida in una versione pocket molto ben fatta. Questa è stata una gran scoperta al Book Pride.

Ultimo è il romanzo di Dave Given l’editor del mio nuovo romanzo che uscirà quando non si sa, (persiste il tedio con gli editori omertosi), direttore della collana romance di Pav ha poi dirottato il manoscritto alla collana “storie di vita” perché non era sufficientemente rosa. Con lui mi sono trovata benissimo, figuriamoci se non leggevo il suo libro, a maggior ragione con l’e book gratis per il lancio, che ho scaricato subito e letto poi appunto a marzo. Purtroppo però sia trama che scrittura non mi hanno convinta, anzi a tratti la storia di questo amore partenopeo con digressioni calcistiche mi ha annoiata.

Il mese non è finito, tuttavia nei prossimi giorni dubito di concludere il libro che sto leggendo; dopo un mese di fermo (motivo per cui ho letto così tanto) riprenderò la scrittura del romanzo. Ho vinto una scheda tecnica da una editor con un contest su Instagram, mi è arrivata nel pomeriggio e mi dedicherò appunto alla revisione. Poi per i tre giorni di Pasqua torneremo sul Lago D’Orta. Le pessime previsioni meteo mi destabilizzano, la pioggia sul lago mette una tristezza cosmica e ne so qualcosa. Mi porterò diversi libri e spero di essere comunque un po’ felice. Vi proporrò quindi un’edizione speciale della rubrica, che sarà “Letture e felicità di Pasqua”. Auguroni a tutti.

Generazione Giochi senza frontiere

Questa mattina poco dopo il suono della sveglia la radio ha trasmesso questa canzone:

Giochi senza frontiere, mondo senza paura, che in inglese ovviamente fa rima. Il mondo ora invece di paura ne fa tanta, ieri ragionavo con la proprietaria del B&B di Sirolo che dobbiamo costruirci un nostro piccolo mondo bellissimo, perché quello fuori è orribile. Il che forse è anche un atteggiamento menefreghista, ma tocca sopravvivere. Poi però la mente si è soffermata più che altro sulla competizione rituale dell’estate, quei Giochi senza frontiere appunto che personalmente adoravo.

Un po’ di cronaca: nasce nel 1965 e durerà trent’anni, con l’apice del successo tra gli anni ’70 e ’80, anni che coincidono con la mia infanzia/adolescenza, quando le Tv private iniziavano ad affacciarsi e la mia famiglia – se penso a sta cosa davvero mi pare assurda – non poteva vederle (il che mi ha tagliato fuori da un botto di programmi e quindi di chiacchiere in merito con gli amici) perché sarebbe stata necessaria un’antennina che sul mobile in cui era posizionato il televisore non ci stava! Centimetri vitali che mi hanno esclusa. L’Italia assieme a Germania e Belgio fu tra i primi ad aderire al progetto francese, negli anni poi arrivarono a partecipare 18 nazioni diverse.

Tra i presentatori che si sono succeduti il mio preferito rimane Michele Gammino che in realtà l’ha condotto solo dal 1979 al 1982, ben più famoso per essere il doppiatore di Harrison Ford, Kevin Kostner e Jack Nicholson. Mitici i due arbitri internazionali Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi rimasti in carica un ventennio.

La formula è nota: ogni squadra, detta compagine, proviene da un unica località dei vari paesi europei partecipanti, e si sfida in giochi divertenti, con alcune regole specifiche come “giocare il Jolly” e il celebre “fil rouge”. Tuffi in acqua, corse spericolate, rocambolesche salite e discese in situazioni di esilarante pericolo si susseguivano fino a decretare il vincitore. La mente, si sa, spesso decide autonomamente cosa ricordare e cosa no, per cui io ricordo perfettamente che partecipò per l’Italia la cittadina di Fiera di Primiero (manco so dove si trova!) e per la Francia Fontainbleau. Era normale fare il tifo per l’Italia, ma mio cugino teneva per la Germania. Le sere estive erano scandite da questi appuntamenti: tutti incollati a vederlo.

Poi venne quel pomeriggio talmente mitico che quando la psicologa mi ha chiesto l’elenco dei momenti più felici della mia vita, non ho esitato a inserirlo: perché non riprodurre una sfida di giochi senza frontiere nel cortile dei nonni dove io, la twin, mio cugino e due amichetti (anche loro coi nonni in quella corte) trascorrevamo luglio e agosto? Nel gioco visto in Tv una concorrente vestita da coniglietta doveva saltellare tra i cespugli coi piedi legati recuperando provviste da mettere in un cestino; dietro di lei un membro della squadra avversaria vestito da lupo, rinchiuso in una gabbia, aveva tre chiavi di cui solo una gli avrebbe aperto la porta e consentito di uscire per iniziare a inseguirla. Vinceva la coniglietta che arrivava al traguardo nel minor tempo e con più provviste. A parte i travestimenti, fummo in grado di ricreare una situazione pressoché identica.

Per la gabbia utilizzammo un fac simile di questo:

Ce ne erano sempre due in fondo al cortile, ma in quel momento uno era vuoto, uno di noi a turno si sarebbe infilato dentro. Il bidone era provvisto di uno sportello senza serratura, quindi il lupo avrebbe contato non so più fino a che numero, per dare tempo alla coniglietta di allontanarsi. La distanza ridotta consentiva sempre una cattura piuttosto veloce: non appena il lupo veniva liberato, raggiungeva la coniglietta.

Naturalmente mia mamma non lasciò che io o la twin ci infilassimo nel bidone, “Siete impazziti a usare la pattumiera?” Ma gli altri bambini non avevano lì i genitori a sorvegliarli e si offrirono quindi per fare il lupo.

Fu epico! Uno di quegli eventi che ricordo sempre volentieri, di cui conservo i dettagli: i birilli usati come provviste, il percorso, l’impegno per attenersi il più possibile a quanto visto in Tv. Il nostro gruppo era davvero affiatato: aspettavamo con ansia ogni estate per ritrovarci e inventare qualcosa di nuovo.

La programmazione televisiva limitata polarizzava gli spettatori sui pochi canali esistenti, e se forse oggi le scenografie che all’epoca sembravano grandiose ci farebbero sorridere, Giochi senza frontiere – che oltretutto inaugurò l’Eurovisione – aveva il preciso intento di favorire l’amicizia tra i popoli europei, ben prima della fondazione dell’Unione Europea e dell’effettivo crollo delle Dogane nel 1993. Rappresentava quindi la parte ludica di un importante progetto condiviso di cooperazione che oggi più che mai appare come una beffa.

Forse a quei tempi ipotizzavamo che dopo i Giochi senza frontiere europei ci si potesse espandere al Nord Africa, il Medio Oriente, invece oggi i confini sono invalicabili e nuovi regimi terrorizzano le popolazioni. Se ci pensiamo il mandato di Gorbaciov, che tanta speranza diede all’URSS, durò solo dal 15 marzo 1990 al 26 dicembre 1991. C’era più fair play allora che in questioni molto più serie oggi.